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Assolte le camicie verdi. 20 anni di persecuzioni

Oggi si è chiuso, esattamente dopo 20 anni, l’ultimo grado di processo alle camicie verdi. Tutti assolti. 20 anni di persecuzioni dello stato nei confronti di cittadini innocenti, colpevoli solo di avere delle idee politiche.

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Si è concluso, con la completa assoluzione, il processo a 34 Camicie verdi. 20 anni fa erano state accusate di “attentato all’unità dello stato” e di Banda armata. Si trattava di panettieri, impiegati, persone normali, che non avevano fatto male a nessuno. L’unico peccato della loro vita è sempre stato quello di condurre in prima persona una battaglia per la democrazia. Con oggi, infatti, si conclude un bruttissimo capitolo della storia antidemocratica dello stato italiano. Un capitolo iniziato con la dichiarazione dell’indipendenza della Padania nel 1996. Nella foto, Enzo Flego, 75 anni, pasticcere, ex deputato e consigliere comunale per la Lega Nord, e anche una delle camicie verdi definitivamente assolte oggi. La foto è stata scattata lo scorso anno a Verona. Fossi nei panni di una delle camicie verdi, già che han fatto 30 farei anche 31 e denuncerei lo Stato italiano per farmi risarcire i danni. Non so se lo faranno, se la giustizia facesse davvero il suo corso il risarcimento nei confronti di queste persone dovrebbe essere naturale, automatico e congruo.

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La più grande manifestazione indipendentista della storia Europea

Era il 18 settembre 1996. Due giorni prima, il 16 settembre, c’era stata la grande manifestazione sul Po durante la quale fu dichiarata l’indipendenza della Padania. Quella domenica quasi due milioni di persone si erano recate sulle rive del Po e dandosi la mano avevano formato una catena umana culminata con un toccante discorso di Umberto Bossi a Venezia. Il lunedì filò via quasi tranquillo. Il giorno seguente, invece, alle 5 del mattino, la Digos si presentò alla casa di Corinto Marchini, ad Abbiategrasso (Mi). Corinto Marchini era indicato come il capo delle Camicie Verdi in Lombardia. Le camicie verdi erano il servizio d’ordine che aveva organizzato la logistica della manifestazione sul Po.

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Indagati per “attentato all’unità dello stato”

Corinto Marchini, e altri, erano stati indagati dalla procura della repubblica di Verona per “attentato all’unità dello Stato”. Quella mattina la Digos si recò  prima a casa sua e poi in via Carlo Bellerio a Milano, nella sede della Lega Nord,  per perquisirla. Lì trovarono Umberto Bossi, Roberto Maroni, Davide Caparini, Mario Borghezio, Francesco Speroni e alcuni altri militanti. La Digos forzò la mano fece irruzione nella sede del Movimento. Fu la prima volta, dalla fondazione dello stato italiano che delle forze militari entrarono nella sede di un partito. Una cosa simile non era successa neppure durante il ventennio fascista. Nella collutazione che ne seguì Roberto Maroni rimase ferito. Come risultò dai verbali del tempo, in quella operazione la Digos sequestrò camicie verdi, gadget, manifesti, una cartina geografica del Po, e alcune copie dell’inno Va Pensiero, di Giuseppe Verdi. Il ministro dell’interno in quel momento era Giorgio Napolitano.

La lunga battaglia per la vittoria della democrazia

Quella irruzione passò alla storia con il nome “I fatti di via Bellerio”. Sempre nel 1996, la Camera dei deputati fece ricorso contro la perquisizione basandosi sull’art. 68 della Costituzione italiana. L’articolo vieta la violazione dei locali a disposizione dei parlamentari senza previo consenso del parlamento. La Corte Costituzionale si pronunciò 8 anni dopo, nel 2004. Le condizioni politiche erano completamente diverse. La Corte condannò la perquisizione perchè lesiva dell’art.68. Il processo alle Camicie Verdi, invece, continuò.  Il giudice di Verona, Guido Papalia, non demordeva. E’ arrivato persino a fare ricorso contro il decreto di assoluzione emesso dal tribunale di cassazione lo scorso anno. Oggi è arrivata la decisione del giudice di Brescia, che ha ricusato il ricorso.

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Il commento politico

Matteo Salvini è il segretario della Lega Nord. Questo pomeriggio ha commentato la notizia dalle onde di radio Padania libera, in coppia con Marco Pinti. “Dopo 20 anni e non so quanti milioni di euro spesi in indagini, intercettazioni e perquisizioni è finito il processo alle Camicie Verdi della Lega. Quindi la Cassazione ha confermato le assoluzioni perchè non esisteva nessuna banda armata. Nessun esercito parallelo, nessun rivoluzionario con i fucili sotto i cuscini. Però per 20 anni decine di persone per bene, che oggi sono nonne e nonni, alcuni sono morti altri hanno messo su famiglia, sono state perseguitate dalla giustizia italiana perchè, teoricamente, per qualcuno erano un esercito. Una banda armata.  Dopo 20 anni e X milioni di euro spesi, la cassazione ha detto: ‘non è vero niente’. Ma vi par normale che un processo posa durare 20 anni? Basato poi sul nulla?”

Matteo Salvini ha poi continuato sullo stesso tono, abbastanza arrabbiato, dicendo che “c’era gente che era sotto processo dal 1997 perchè aveva degli adesivi della Lega, delle camicie verdi e delle spillette. Padri e madri di famiglia che si sono pagati le spese legali per 20 anni. Vi rendete conto? La cassazione, meglio tardi che mai, ha detto: Balle, non era vero niente. Non era una banda armata. Lo stato italiano ha scherzato con la vita di decine di persone per 20 anni. Sarei curioso di sapere quando è costata questa indagine. In un paese normale, i magistrati che l’hanno portata avanti risarcirebbero qualcosa o qualcuno, o sbaglio?”

Ancora molti gli indagati e i processati per le loro idee politiche

Se si conclude il processo alle Camicie Verdi, rimangono attualmente ancora  sotto processo i 48 indipendentisti veneti che nel 2014 sono state accusati di terrorismo: la loro colpa è voler festeggiare la festa di San Marco, in Veneto, costruendo un tanko simile, per significati, a quello di un altro gruppo di secessionisti perseguitati dalla giustizia dello stato italiano: i Serenissimi del campanile di Venezia. Ultimo perseguitato in termini di tempo è Massimiliano Moscatello, arrestato qualche settimana fa in Friuli per resistenza passiva a pubblico ufficiale e per aver  letto la dichiarazione di sovranità del Veneto ed essersi rifiutato di consegnare i documenti ai carabinieri.

Nota della redazione
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Ilaria Maria Preti

Giornalista, metà Milanese e metà Mantovana. Ho iniziato giovanissima con cronaca, cibo e politica. Per anni a Tvci, una delle prime televisioni private, appartengo alla storia della televisione quasi nella stessa linea temporale dei tirannosauri. Dal 2000 al 2019 speaker radiofonica di Radio Padania. Ora dirigo, scrivo e collaboro con diverse testate giornalistiche, coordino portali di informazione, sono una Web and Seo Specialist e una consulente di Sharing Economy. Il futuro è mio

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