Si è suicidato Paolo Leone. Aveva sparato a Lombardo
Corbetta – Una tragedia nella tragedia. L’agenzia di stampa Adnkronos ha diramato la notizia che Paolo Leone, che si era costituito dopo aver sparato a Giuseppe Lombardo, a Corbetta, si è suicidato in cella ieri sera. Nessuno è riuscito a impedire il consumarsi della tragedia.
Paolo Leone si è impiccato nella cella del reparto Nuovi Giunti, in cui era detenuto nel carcere di Opera. Di quanto è successo avevamo dato la notizia nell’articolo Sparatoria a Corbetta. Agguato mafioso per vendetta. Aveva confessato di aver ucciso Giuseppe Lombardo, dopo avergli sparato in faccia. Era accusato di tentato omicidio. Giuseppe Lombardo è stato dichiarato fuori pericolo di vita. Se la caverà.
Le dichiarazioni
Adnkronos ha anche diramato la dichiarazione del segretario generale del sindacato autonomo della polizia penitenziaria Donato Capace, che ascrive il suicidio ai problemi sociali e umani nei penitenziari. Riportiamo la sua dichiarazione: “L’ennesimo suicidio di un altro detenuto in carcere dimostra come i problemi sociali e umani permangono, eccome, nei penitenziari, al di là del calo delle presenze. Negli ultimi 20 anni le donne e gli uomini della Polizia penitenziaria hanno sventato, nelle carceri del Paese, più di 17mila tentati suicidi e impedito che quasi 125mila atti di autolesionismo potessero avere nefaste conseguenze”.
Oltre che di problemi sociali all’interno del carcere, bisognerebbe parlare anche dei problemi sociali all’esterno, nella società stessa. Di fronte ad un suicidio, così come di un omicidio volontario, si rimane sempre sconvolti. E’ naturale: si tratta di atti inumani, contrari a qualsiasi logica. Nel caso specifico, fa ancora più paura perchè tutta la storia, compreso il suicidio finale, pare corrispondere al clichè culturali della mafia e del delitto d’onore, clichè che si speravano battuti, finiti, disgregati, superati dagli eventi e dalla storia, e che invece sono ancora lì.
La morte di un “cattivo”
Parlare di uno sconosciuto, quando ci sono dei parenti sconvolti dal dolore, è difficile. Il dolore per la morte di una persona cara va oltre il senso di bene e di male. La madre dell’assassino ucciso soffre tanto quanto la madre della sua vittima. Se non avessi vissuto gli anni 70 nei quartieracci dell’hinterland milanese, a stretto contatto con le famiglie mafiose in domicilio coatto, probabilmente ascriverei tutto l’episodio del ferimento di Lombardo e poi del seguente suicidio di Leone ad una malattia mentale non riconosciuta.
Lo farà chi è più giovane di me e chi ha della mafia un’idea superficiale fatta solo di reati, di violenza, di traffici di droga e di armi, e di delinquenza comune. Invece bisogna riconoscere la forza culturale negativa che esercita su ampi strati della popolazione del sud, oggi come nel passato, che mette anche chi spara nelle condizioni di essere una vittima, cioè una persona che non è riuscita a sottrarsi ad un destino violento e tragico che altri hanno voluto per lui.
Dire ” E’ impazzito improvvisamente. Il carcere lo ha portato alla pazzia” mette una pietra sopra a queste riflessioni.. Speriamo sia così davvero, ma è ovvio che non ci credo.
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