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Il Mossad: quando Israele scateno’ la Collera di Dio

Il 1972 viene ricordato dalla Storia come uno degli anni peggiori per il grande sport internazionale per via dell’attentato a Monaco di Baviera che portò all’uccisione della rappresentanza israeliana per mano del gruppo palestinese terroristico Settembre Nero. Il governo israeliano decise allora di muoversi per prevenire nuove azioni simili lanciando una delle operazioni nascoste più articolate e da un certo punto di vista “spettacolari” mai attuate nella storia dei servizi segreti, chiamata Collera di Dio, ideata dal Primo ministro Golda Meier e dal ministro della Difesa Moshe Dyan. Secondo quest’operazione i membri sospettati di ricoprire alte cariche all’interno di Settembre Nero dovevano essere uccisi in brutali attentati non riconducibili direttamente al Mossad (il servizio segreto israeliano) ma allo stesso tempo i nemici di Israele dovevano rendersi conto che non sarebbero stati al sicuro da nessuna parte.

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Il Mossad: quando Israele scatenò la Collera di DioLa prima persona a cadere vittima della “Collera di Dio” fu il palestinese Wa’il Zu’ayter che venne colpito con 12 proiettili di pistola da due agenti il 16 ottobre 1972 mentre rientrava nel suo appartamento a  Roma. Zu’ayter era un membro dell’OLP (l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e secondo il Mossad era anche il rappresentante di Settembre Nero in Italia e quindi il suo nome venne inserito nella lista, mai ufficialmente confermata dal governo di Tel viv, di 20/35 obbiettivi da abbattere. Due mesi dopo Mahmud Hamshari, rappresentante dell’OLP e di Settembre  Nero in Francia, venne ucciso dall’esplosione di una bomba nascosta nel suo telefono fisso. Saranno proprio questi i due metodi principali utilizzati dal Mossad per compiere le esecuzioni durante questa operazione: una moltitudine di proiettili scaricati contro il bersaglio da agenti oppure esplosivi preventivamente piazzati.

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Le necessità di cambiare queste abitudini

si presentarono quando fu il momento di occuparsi dei bersagli che all’epoca risiedevano in Libano, spesso in abitazioni con diverse guardie armate di scorta. Queste abitazioni allora vennero assaltate da squadre miste formate da agenti del Mossad e uomini provenienti da Sayeret Matkal (le forze speciali dell’esercito israeliano) che eliminarono gran parte dei bersagli. I guai per gli israeliani però arrivarono quando fu il momento di abbattere Ali Hasan Salama, considerato l’ideatore dell’attentato di Monaco.
Gli informatori del servizio segreto riferirono di averlo avvistato nella cittadina norvegese di Lillehammer e subito venne inviata una squadra di agenti per pedinarlo, verificarne l’identità e poi abbatterlo. La squadra israeliana, composta da cinque uomini ed una donna, venne inviata in Norvegia nella primavera del 1973 e subito cominciò a cercare Salama. Dopo due mesi di pedinamenti, si decise di agire. L’obbiettivo, in compagnia di una donna incinta, venne visto entrare nel cinema di Lillehammer alle ore 20:00 del 21 luglio e venne subito pedinato da un agente; quando alle 22:35 il bersaglio e la donna uscirono dal cinema per salire a bordo di un pullman, l’agente contattò con un walkie-talkie i compagni destinati ad eliminare il bersaglio. Alla fermata del pullman di Salama vi era una Mazda bianca con a bordo quattro agenti israeliani che attendevano il bersaglio, giunto li poco dopo la segnalazione. Una volta scesi dal pullman, il bersaglio e la donna sono raggiunti da due agenti che impugnano pistole Beretta .22 e colpiscono sei volte Salama allo stomaco, poi due volte in testa ed infine altre sei volte alla schiena, come nello stile dell’Operazione. Le urla della donna attirarono alcuni passanti e misero in fuga la squadra di esecuzione che tentò di nascondersi cambiando poco dopo vettura, ma venne fermata dalla polizia in aeroporto e permise di catturare anche la squadra di sorveglianza. II problema alla base dell’intera operazione è che il bersaglio abbattuto non è Ali Hasan Salama, ma è un uomo che gli somiglia soltanto.

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Ahmed Bouchiki era un cameriere marocchino emigrato a Lillehammer alcuni anni prima, conosciuto come una persona tranquilla e rispettato in paese. Venne tradito, oltre che dal suo aspetto, dal fatto di essersi fermato a scambiare due parole in arabo con un nordafricano mentre era sotto la sorveglianza degli agenti di Tel Aviv. Ali Hassan Salameh riuscì a sfuggire ad altri due agguati, uno il 12 gennaio ed uno il 10 ottobre del 1974 organizzati da gruppi “free-lance” pagati dal Mossad, ma trovò la morte a Beirut il 22 gennaio 1979, quando al passaggio del suo convoglio gli agenti israeliani fecero esplodere 100 kg di esplosivo nascosti in
una Volkswagen.

Nota della redazione
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Cristopher Venegoni

Sono nato e cresciuto tra Arluno e Ossona e studio giurisprudenza. la mia passione sono gli aerei e il volo, per questo sono guida volontaria al Museo di Volandia, Varese.

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