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La festa delle lumere. Ricordi di sere in Lombardia

Fra i più bei ricordi della mia infanzia c’è la festa di Tutti i Santi, a festa delle lumere, quando si prendevano le zucche, quelle belle tonde, si svuotavano, si intagliavano, le si riempiva con un lumino acceso e le si posizionava, la notte del 31 ottobre, nei pressi del cimitero, in modo da spaventare le nonnine che vi si recavano il 1 novembre prima dell’alba. Oppure le si metteva agli angoli di un ponte o di un sottopasso, o di una strada buia, nascondendosi nei pressi per ridere delle reazioni di spavento di chi si trovava di fronte la zucca fantasma.

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La mia nonna, che era del 1906, dava per scontato che i bambini piccoli, anche se non gli era stato detto nulla della festa, nei giorni precedenti il 31 ottobre si mettessero alla ricerca di una zucca da intagliare. Per facilitarci la ricerca, dato che abitavamo in città dove le zucche si comperano dal fruttivendolo e dove gli orti in cui rubarle ( come vuole la tradizione) non ci sono, ne comperava una e la “nascondeva” in alto, sopra ad un’alta credenza, dietro ad un vaso di plastica.

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la scala Rho b&b

Nonostante ciò che credeva la nonna, però, noi bambini non avevamo neppure il più piccolo istinto naturale che ci portasse a desiderare di rubare una zucca. La nonna vedeva avvicinarsi con preoccupazione il 31 ottobre senza che la  zucca sparisse dalla sua posizione. Iniziavano così gli ammiccamenti, le frasette del genere “veh, devo spolverare lassù dove c’è il vaso”. Lasciava anche una scaletta proprio di fianco alla credenza. La zucca, però, rimaneva al suo posto. Alla fine, la mamma si arrendeva e rubava la zucca per noi e, di nascosto, senza che la nonna si accorgesse, ci insegnò ad intagliarla nel modo giusto e ci spiegò cosa ci si aspettava da noi.

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La sera del 31 ottobre andammo con i nostri genitori alla cena tradizionale cucinata dai nonni. il Menù prevedeva deliziosi tortelli di zucca e amaretto conditi con il pomodoro (ricetta mantovana), faraona arrosto e budino all’inglese e una bella fetta di bissulan da pucciare nel lambrusco rosso di bassa gradazione.
Poi, dopo cena,  la mamma ci portò nel cortile e appoggiammo la zucca vuota sul davanzale esterno finestra. Sempre di nascosto e in silenzio accendemmo il lumino e lo inserimmo all’interno della zucca. Ed ecco la lumera.

Durante la cena le allusioni alla zucca, che era misteriosamente sparita, si sprecarono e c’era una piacevole e divertentissima atmosfera di attesa, in cui gli adulti sembravano divertirsi più dei bambini. Il nonno, poi, ci raccontò delle storie antiche che avrebbero dovuto spaventarci. E’ indubbio che non riuscì a farci paura, ma erano leggende molto belle che ricordo ancora con nostalgia.

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Sul più bello qualcuno spense le luci e, guardando la finestra, gli adulti cominciarono a gridare di paura. Guardando fuori dalla finestra, nel buio della notte, si vedeva brillare distintamente il viso intagliato della zucca. La nonna urlava più forte degli altri. “Uh che squai, uh che squai!”. Continuò fino a che noi bambini non andammo ad accendere la luce. Uno di noi si avvicinò a consolare la nonna. “Nonna, è solo la zucca vuota! Non avere così tanta paura”.

A quel punto le risatine degli adulti rieccheggiarono nella stanza e la nonna andò a prendere un pacchetto che conteneva i più buoni marron glassè che io abbia mai mangiato. La nonna, completamente soddisfatta, li distribuì ai bambini, pregando di non essere mai più spaventata così. “Ta ma fe patì un squai. Veh, squaiam mia di mundi!” disse in mantovano ad ognuno di noi.

Noi mangiammo le castagne con gusto e con la sensazione di essere passati attraverso un rito di iniziazione particolarmente importante. L’anno seguente, infatti, la zucca sparì al momento giusto, e le persone spaventate dalla nostra lumera, persino prima del 31 ottobre, diventarono numerose.

I ricordi non finiscono, comunque, perchè c’era anche un’altra nonna da soddisfare e che andavamo a trovare la mattina del primo novembre, per fermarci a pranzo da lei. Ovviamente anche lei fu debitamente spaventata con la lumera. Arrivammo a casa sua verso le 11. Noi bambini corremmo avanti, salutando appena la portinaia del grande cortile milanese in cui abitava la nonna. Il papà ci corse dietro per accendere il lumino con i fiammiferi. Salimmo i cinque scalini dell’ antico portone, che davano su un androne senza finestre, molto buio. La porta della nonna era la prima, leggermente nascosta dietro un angolo.

Sistemammo la zucca sullo zerbino. Il papà accese il lumino e ci si nascose tutti velocemente sulle scale. La mamma si era fermata a parlare con la portinaia. La nonna aprì la porta e cacciò un urlo, e noi saltammo fuori gridando da dietro l’angolo scuro, urlando anche noi. In quel momento, la portinaia e la mamma arrivarono e misero la testa all’interno dell’androne “sa ghè da vusa?” chiese ridacchiando l’anziana signora Adua. 

“Uh” rispose la nonna  ” I fioeulin m’han fa stremì cont la lumera. Che tremissi co ciapà!” La nonna rideva e non sembrava per niente spaventata. Nelle mani aveva un sacchetto bianco. ” Uhei nani! G’ho chi i castegn rostì”.  La nonna ci diede tre castagne calde e profumate ciascuno, raccomandandosi anche lei, per piacere, di non essere più spaventata così, con la lumera, perchè era vecchia.

Le caldarroste fumavano e scaldavano le nostre mani. Non appena entrammo in casa fummo assaliti anche dal classico e buonissimo profumo della casseuola che stava finendo di cuocere. La tavola era apparecchiata: per  noi,  per la nonna, per la zia e per tre posti che non avevamo idea di chi fossero. Dopo aver usato le caldarroste come antipasto, ci sedemmo a tavola. La televisione era accesa sul primo canale ( c’era solo quello, in bianco e nero) e trasmetteva il telegiornale. La nonna arrivò con una grande pentola di casseola e poi andò a prendere a parte la polenta.  I  nostri piatti furono pieni in un attimo, così come quelli dei tre misteriosi ospiti.

Il pranzo continuò in allegria: la televisione parlava, i nostri genitori ridevano, la nonna e la zia anche. I tre piatti pieni però rimasero lì, sul tavolo, anche dopo che si mangiò, come dolce, una fetta di pane con l’uvetta. I piatti rimasero persino dopo che la nonna ebbe sparecchiato e portato il caffè. 

La voglia di fare domande era tanta. Prima di andare in salotto, dove avremmo passato il resto del pomeriggio, la nonna prese tre fotografie; una era quella del nonno morto quando noi eravamo piccolissimi, l’altra era quella di una zia morta giovanissima, e infine quella di uno zio morto molti anni prima della nostra nascita. Conoscevamo quei visi perchè la storia di quei parenti scomparsi presto ci veniva raccontata spesso.

La nonna appoggiò una foto vicino ad ogni piatto di casseoula, attese un momento in silenzio, recitando l’ “eterno riposo” a fior di labbra, seguita anche dagli altri, poi ci prese per mano, ci condusse fuori dalla stanza e chiuse la porta alle nostre spalle. “Andiamo di là, bambini, a giocare.” La sensazione che qualcuno fosse di là a mangiare quella casseoula ci accompagnò fino al salotto. Poi , passata qualche ora, uscimmo con la nonna e la zia, per andare al cimitero. Era una festa, perchè avremmo preso il tram e, al ritorno, ci saremmo fermati in piazza del Duomo a mangiare  la cioccolata calda.

Nota della redazione
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Ilaria Maria Preti

Giornalista, metà Milanese e metà Mantovana. Ho iniziato giovanissima con cronaca, cibo e politica. Per anni a Tvci, una delle prime televisioni private, appartengo alla storia della televisione quasi nella stessa linea temporale dei tirannosauri. Dal 2000 al 2019 speaker radiofonica di Radio Padania. Ora dirigo, scrivo e collaboro con diverse testate giornalistiche, coordino portali di informazione, sono una Web and Seo Specialist e una consulente di Sharing Economy. Il futuro è mio

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