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Manifestazione a Milano contro la mafia

Oggi, in piazza del Duomo, a Milano, durante la manifestazione contro la mafia, sono stati letti, uno ad uno, i nomi di 1069 vittime innocenti delle mafie. Ad ascoltarli, fra la folla di migliaia di persone, ci sono circa 500 loro familiari, arrivati a Milano da tutta Italia, per celebrare la ventottesima giornata della memoria dell’impegno il ricordo delle vittime Innocenti delle mafie. Gli organizzatori, le associazioni di Libera e Avviso Pubblico, hanno scelto Milano perché quest’anno cade il trentesimo anniversario della strage di via Palestro.

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Il corteo è partito verso le 9 da corso Venezia ed è arrivato in piazza del Duomo verso le 11:00. Il discorso conclusivo lo ha tenuto Don Luigi Ciotti. Lo slogan di questa giornata è “è possibile”. Si tratta dell’evento conclusivo di una serie di manifestazioni che hanno coinvolto diverse piazze in Italia.

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cambiamenti. Social journalism

“Ogni anno, il 21 marzo, primo giorno di primavera, in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, in tanti luoghi del nostro Paese e all’estero, vengono letti tutti i nomi delle vittime innocenti delle mafie. Un lungo elenco, recitato come un interminabile rosario civile, per farli vivere ancora, per non farli morire mai.

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A partire dal 21 marzo e durante gli altri 364 giorni dell’anno, perché solo facendo della memoria uno strumento d’impegno e di responsabilità, si pone il seme di una nuova speranza.” scrivono sul sito di Libera, nel presentare l’iniziativa. Libera non è solo una associazione ma una rete di associazioni affiliate, per lo più di matrice cattolica, che condividono il progetto di impegno nella promozione della legalità.

Le associazioni intendono portare l’attenzione sulle nuove strategie delle mafie, che oggi si occupano di affari, e cercano di rendere normale un sistema pensato sulla corruzione, sulla minaccia e sulla infiltrazione negli enti pubblici. Il codice degli appalti, in discussione in questi giorni a livello statale, è una delle loro preoccupazioni.

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“Legalità, trasparenza, concorrenza, tutela effettiva della salute e della sicurezza di lavoratrici e lavoratori, obbligatorietà delle clausole sociali, partecipazione dei cittadini attraverso un vero dibattito pubblico: arriva da un ampio fronte di reti, associazioni, fondazioni e cooperative l’appello al Parlamento e al governo perché il decreto legislativo di riforma del Codice degli appalti diventi, in un quadro di semplificazione delle norme e delle procedure, un vero argine ai rischi di infiltrazione mafiosa e di diffusione di fenomeni corruttivi, ” scrivono in un comunicato stampa.

Un tema scottante per i lombardi

Per un lombardo la mafia, o meglio, il sistema mafioso, è incomprensibile. Come mentalità il lombardo non cede alla minaccia se non è immediata e contingente e ama le regole. Anzi, tende a costruirsi un sistema di regole, che rispetta in maniera maniacale, e che tenta di sfuggire solo quando non sono nelle sue mani, non sente sue, oppure quando le ritiene ingiuste, oppressive e troppo complicate. La mentalità lombarda è impenetrabile alle mafie proprio perchè presenta un sistema di gestione della cosa pubblica fondato su favori personali agli amici, e non su regole uguali per tutti.

Però i lombardi hanno una debolezza. Proprio a causa della loro mentalità, fanno fatica a riconoscere il virus della mafia quando lo vedono e si accorgono che è penetrato nel loro sistema economico e politico solo quando ci si è infilato a fondo. Abituati a non guardare in faccia a nessuno, in affari e in politica, non riescono a comprendere il concetto tradimento della famiglia, di solidarietà familiare e del “è parente di…” che sostiene il sistema mafioso. La mafia non coinvolge i lombardi, ma può riuscire a sopraffarli. Un pericolo che va evitato a tutti i costi, se si vuol vivere in un paese giusto. E’ meglio imparare a conoscere il sistema mafioso in tutte le forme che assume.

Ma quel Matteo Messina Denaro…

Nella mentalità di un lombardo, il fatto che Matteo Messina Denaro fosse latitante da 30 anni e non sia mai stato preso, nonostante le ricerche che tutti i governi dicevano di fare, poteva significare solo che o era morto e lo avevano seppellito di nascosto, oppure che si nascondeva in una giungla del Sudamerica, senza luce, senza smartphone, senza gps e senza apparecchiature elettroniche che potessero indicare alle forze dell’ordine dove potesse essere.

Scoprire che se ne stava tranquillamente al suo paese, in Sicilia, che era curato in un ospedale, che faceva festini e andava al ristorante, e che dirigeva comunque gli affari della mafia, è stato uno shock.

Il lombardo braccato

Il lombardo tipo si è reso conto che in un’ Italia unita dove i magistrati coordinano le indagini, le forze dell’ordine le eseguono, i tecnici e i dirigenti effettuano pratiche, i politici preparano strategie e gli apparati dei ministeri dell’interno, della giustizia e della difesa agiscono, un bel po’ di gente doveva per forza sapere dove si trovava Matteo Messina Denaro e non faceva nulla per arrestarlo. Questo mentre, per mentalità, il lombardo tipo si sente braccato dalla giustizia se dimentica la scadenza del bollo dell’auto, e si sente un vero delinquente se gli arriva una cartella esattoriale.

C’è qualcosa che non funziona, ma non è in Lombardia

A prescindere dalla manifestazione di Milano di questa mattina, doverosa e commovente, penso proprio che abbiano sbagliato il posto in cui farla. Andava fatta in Sicilia a Castelvetrano, a casa di Matteo Messina Denaro. Poi, oltre ai nomi delle vittime, andavano letti in pubblico i nomi di tutti quelli che sicuramente sapevano e non hanno fatto nulla. Scusatemi, ma è troppo facile fare una manifestazione contro la mafia in un paese e in una città dove ci si sente in colpa perchè ti è caduto per terra un pezzo di carta e non te ne sei accorto. Sarebbe diverso, e avrebbe più forza, farla nella tana del lupo.

Nota della redazione
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Ilaria Maria Preti

Giornalista, metà Milanese e metà Mantovana. Ho iniziato giovanissima con cronaca, cibo e politica. Per anni a Tvci, una delle prime televisioni private, appartengo alla storia della televisione quasi nella stessa linea temporale dei tirannosauri. Dal 2000 al 2019 speaker radiofonica di Radio Padania. Ora dirigo, scrivo e collaboro con diverse testate giornalistiche, coordino portali di informazione, sono una Web and Seo Specialist e una consulente di Sharing Economy. Il futuro è mio

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