I racconti di Davide TrentarossiStoria e Cultura

Il Sole di San José

L’altra sera stavo guardando la televisione: era troppo presto per dormire e troppo tardi per iniziare a vedere un film. Così mi son messo a fare un po’ di zapping e, alla fine, sono capitato su una rubrica di TG2 Dossier incentrata sulla storia di un italiano che ha avuto successo negli Stati Uniti.

Si tratta di Vittorio Viarengo, vice presidente dei servizi Cloud per VMWare. Con toni un po’ romanzati, la giornalista ce lo presenta partendo dalle sue origini: figlio di una generazione di panettieri molto famosi a Genova, passa per gli studi di Ingegneria Informatica, per approdare alle aziende della Silicon Valley, senza scordarsi comunque delle sue origini. Oggi, infatti, nonostante gli impegni di lavoro così distanti, continua a gestire con passione il blog Viva La Focaccia.

A parte il pizzico di orgoglio che, da italiano, ho provato nel vedere una persona della nostra terra affermarsi in un ambiente così all’avanguardia e competitivo, quello che mi ha colpito è un aspetto di questa storia, a prima vista secondario. Durante l’intervista, Viarengo mostra le strade della città in cui vive, San Josè, centro economico, politico e culturale della Silicon Valley.

Giunti fuori dalla sua villetta, una tipica casa americana della West Coast, fa entrare la giornalista, mostra orgoglioso il suo giardino, dopodiché punta la telecamera verso uno splendido cielo azzurro e con gioia esclama “… e questo è il sole di San José”, indicandolo quasi come uno dei benefit, forse tra quelli di maggior valore, di un lavoro in questa parte di mondo. Per chi ha la mia età ed è un appassionato di computer, per averli visti nascere e cambiare le nostre esistenze, un lavoro nella Valley è sicuramente il sogno di una vita, ma mai avrei pensato di vederla sotto quest’ottica: il sole di San José come uno dei “perché” che ci spingono a fare qualcosa.

Ripenso al film hollywoodiano Vizi di Famiglia e alla battuta che Richard Jenkins rivolge a Mark Ruffalo, fidanzato della figlia, Jennifer Aniston: “Nessuno viene da Los Angeles, tutti vanno a Los Angeles, ma se per caso vieni proprio da Los Angeles, allora molto probabilmente vieni da Pasadena”. Los Angeles, come tutta quanta la California, è sempre stata, nell’immaginario collettivo, il mito verso cui andare.

Fin dai tempi della corsa all’Ovest, questa terra ha rappresentato la meta per antonomasia. Ho avuto la fortuna di vivere per parecchio tempo sulla costa Est degli Stati Uniti, a Miami. Abitavo in un appartamento al trentesimo piano dell’One Miami Condominium, proprio a fianco di Bayside (questo è il link per chi fra voi fosse curioso: OneMiami). Amavo dormire con le tende aperte e farmi svegliare dal sole che nasce. Ricordo una domenica mattina, sdraiato a prendere il sole a lato della piscina sulla terrazza all’undicesimo piano.

La settimana appena trascorsa era stata molto impegnativa: iniziata a Las Vegas con i preparativi per una nuova apertura, appena rientrato a Miami dovetti svolgere un’operazione molto delicata per smascherare alcuni furti all’interno dell’Azienda per cui lavoravo. Ero veramente stanco, ma la stanchezza era ampiamente compensata dalla consapevolezza di aver svolto un buon lavoro. Percepivo quel sole, che mi baciava la fronte e mi scaldava, come la giusta e meritata ricompensa. Quella volta, anche se lontanissimo dalla California, fu uno dei momenti in cui sperimentai con forza la bellezza del sole di San José.

Da un punto di vista storico, l’espansionismo verso i territori dell’Ovest americano affondava le sue radici sia su interessi economici che su motivazioni ideali: c’era una sorta di convinzione della necessità di ingrandirsi quasi a garanzia della propria stessa futura sopravvivenza. Questo, però, avveniva nei palazzi del potere. Le motivazioni della gente che decideva di mollare tutto per andare a ovest erano le più disparate. C’era chi vedeva la frontiera come un modo per sfuggire al proprio stato di povertà o semplicemente per avere una nuova opportunità, c’erano ovviamente gli avventurieri e c’era chi scappava da situazioni magari losche o comunque poco chiare.

La motivazione di base era comunque uguale per tutti: la ricerca di un mondo e di un futuro migliore. Ecco, il sole di San José è l’immagine con cui mi figuro “il futuro migliore”. Il sole di San José è la trasposizione reale di un sentimento che provi quando senti che stai facendo un ottimo lavoro, che stai crescendo bene i tuoi figli, che ti stai comportando bene con chi ti sei scelto di avere accanto: quando tutti i tasselli del puzzle si dispongono a creare “The Big Picture”, allora non ti resta altro da fare che sdraiarti su un prato verde e farti accarezzare dai raggi del sole di San José.

La mia personale corsa all’Ovest, verso la California, l’ho immaginata in un romanzo che ho scritto qualche tempo fa. Si intitola 15 luglio. Seguendo il link potrete leggerne una breve sinossi e, se sarò riuscito ad intrigarvi a sufficienza, comprarlo. La corsa parte da Las Vegas dove i due innamorati, sposi novelli, noleggiano una Camaro Convertibile e, “in una calda mattinata estiva, con Las Vegas alle spalle, iniziarono la loro luna di miele imboccando la Interstatale 15 con la California come prossima meta.”

Il senso di questo viaggio sta tutto nelle parole di Beatrice, la protagonista femminile, “siamo qua, tu ed io, ottima musica alla radio, il sole è alto nel cielo, il vento sul viso e negli occhi la California: cosa puoi chiedere di più?”Non so voi, ma questo è quanto di più vicino alla felicità io possa immaginare. Il sole ci segue durante tutta la nostra esistenza: bacia delicatamente i nostri occhi all’alba per farci iniziare la giornata, promettendoci che sarà un buon giorno. Ci riscalda poi, piano piano, per farci stare bene.

Quando scende la sera, ci saluta dolcemente verso il meritato riposo, ma con la promessa che domani sarà con noi ancora una volta, per illuminare i nostri passi e riscaldarci nel nostro viaggio. All’inizio di questo articolo ho detto un’inesattezza: ripensandoci, parlandone e scrivendone, mi sto convincendo sempre più che il vero perché che mi sta muovendo non sia altro che il sole di San José e la nostalgia per essere troppo tempo che manca nella mia vita!

Davide Trentarossi

Nato a Milano, l’8 maggio… di qualche anno fa, ma cresciuto in provincia. Ho scoperto molto tardi la passione per la scrittura. Sono laureato in Ingegneria Informatica. Amo viaggiare, e questo mi ha portato a lavorare in giro per il mondo. Molti aeroporti sono stati il mio “Second Office”. Dall’Australia al Sud America, da Mosca a Miami, oltre all’Europa. Amo viaggiare leggero: nel mio trolley il computer su cui appuntare le idee per un nuovo libro, l’inseparabile smartphone, per restare connesso al resto del mondo e un paio di cuffie per ascoltare la musica, un’altra grande passione. Visita la mia pagina su Amazon: https://www.amazon.it/Davide-Trentarossi/e/B081QT913W/

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