Regioni

A Imperia anche il giudice ordinario civile ordina che i bambini vadano in comunità

Siamo a Imperia. Tra i tanti casi di bambini sottratti dai tribunali genitori e inseriti in comunità dove non dovrebbero stare, visto che stavano benissimo a casa loro, mi è capitato di venire a conoscenza di uncaso particolare che, come i tanti che capitano, ha dell’incredibile ma è rigorosamente reale. Parla di incapacità di gestione e di mancanza di professionalità da parte dei servizi sociali, ma anche di follia assoluta da parte della giustizia che questa volta sembra persino più impazzita del solito.

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Non stiamo parlando infatti del Tribunale dei Minori. Questa volta l’ordine di allontanare una bambina dalla madre e di ricoverarla in una comunità per minori è arrivata dal Tribunale ordinario civile, da un giudice che è stato famoso quando era pubblico ministero che ha agito in casi penali importanti e che è una sorpresa trovare nella veste di giudice che si occupa di decidere della vita dei bambini.

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La vita di E.

Ci tengo a sottolinearlo ancora una volta. Sono interessata al destino dei bambini, anche quando do la parola ai genitori. Qui ci troviamo con una bambina di 9 anni che è in una comunità per minori, da 9 mesi, senza ragione e dove il sistema tenterà, come al solito, di tenerla fino che non diventa maggiorenne, impedendole di fatto di condurre la vita normale che aveva.

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A scrivere la sua storia è la mamma della bimba. La conosco ancora poco però le cose che mi ha descritto le lo comprese. E’ una donna intelligente, preparata, che oltretutto conosce il sistema. Siamo tutti umani, facciamo i nostri errori e facciamo le nostre meraviglie, ma quando ci toccano i figli, è come se ci strappassero l’anima. E’ c’è sempre quel dannato sistema che crea i problemi invece di risolverli e provoca dolori invece di lenirli. Provate a dirmi che ho torto.

Una storia tutta da leggere. Racconta la mamma di E.

Tento una ricostruzione più sintetica possibile delle vicende che hanno innescato a partire dal 2017 il groviglio di sequele giudiziarie in corso, moltiplicatesi e ribaltatesi a sfavore a seguito della grave crisi familiare che dall’estate del 2016 ha travolto me e mia figlia, allora di 5 anni.

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A seguito del tentativo di trovare rimedio ai comportamenti fortemente problematici del mio ex convivente, aggravatisi negli ultimi anni di convivenza e poi culminati in maltrattamenti e reazioni aggressive e lesive nei nostri confronti nell’ultimo periodo della stessa (metà Agosto-fine Novembre 2016), sono stata constretta infine, falliti i tentativi di mediazione e dopo una serie di segnalazioni senza esito ai vari presidi e centri di tutela e sussidio, associazioni ed FdO, nella vana speranza di un suo recupero o ravvedimento, a denunciarne ad inizio 2017 le continue vessazioni e le condotte pericolose e persecutorie, proseguite pur dopo il suo abbandono della casa familiare (a fine Novembre 2016).

Ho chiesto più volte protezione

Le autorità locali cui mi rivolgevo più volte chiedendo un intervento e protezione, dissuadevano le mie richieste di tutela, paventando da subito una evidente parzialità a favore dell’ex convivente, evidentemente conosciuto e che veniva pertanto “giustificato” e definito “un bravo ragazzo”, minimizzando le sue gravi azioni ed invitandomi a “fare la pace, superare, riavvicinarmi a lui”, se non altro per le deteriori conseguenze che altrimenti si sarebbero abbattute sulla bambina stessa che stavo chiedendo di difendere, qualora non vi avessi rinunciato.

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la scala Rho b&b

L’ordine di protezione

Riuscivo ad ottenere malgrado ciò, solo nel Settembre 2017, benché vi fossero i requisiti dell’urgenza, un tardivo provvedimento (sostanzialmente vuoto e inefficace) di allontanamento e protezione (includendo me, i luoghi e le persone frequentate, anche non conviventi, ma dimenticando proprio la minore), emanato nei confronti dell’ex sulla base di un ricorso da me presentato ad inizio anno. Questi, pur dopo aver abbandonato noi e la casa familiare mesi prima, disinteressandosene totalmente e lasciano tutto a mio carico (come ancor oggi), continuava a creare disagi di ogni sorta, negando e sottraendoci risorse essenziali oltre a mancare ai suoi doveri.

Per di più perpetrava molestie, minacce e stalking (anche in concorso con altri) con il pretesto delle visite alla bambina (che per il resto trascurava completamente), angosciata dei suoi comportamenti sempre più aggressivi, con cui mi assediava periodicamente, attaccandomi e compiendo vere e proprie incursioni, presso il domicilio ed anche al di fuori di esso, spesso seguendomi negli spostamenti.

Interviene il tribunale ordinario civile

Dal deposito del suddetto ricorso, nelle more del procedimento, lo stalking continuava sfogandosi principalmente in ambito giudiziario: con menzogne ed altre modalità discutibili, l’ex convivente attivava un procedimento-farsa, chiedendo al Tribunale ordinario di Imperia l’allontanamento della bambina e il collocamento/affidamento presso di lui o terzi.

Ha fatto ciò basando il tutto su racconti falsi, versioni contraddittorie e inverosimili di fatti e accadimenti, affermazioni diffamatorie nei miei confronti, azzardando persino “diagnosi” inesistenti, portate anche in sede penale a sua “discolpa”, con l’obiettivo unico ed evidente di denigrare e screditare la mia persona attraverso rappresentazioni inveritiere e mancanti del minimo riscontro, tuttavia assunte contro ogni evidenza (pure fornita), ignorando del tutto la nostra voce, l’ascolto mio, della minore e di quanti erano a conoscenza della reale situazione e fatti, scartando persino i contributi e pareri degli specialisti ed esperti via via interpellati, ed eludendo qualunque verifica, elemento, prova e testimonianza presentati da mia parte.

La disposizione del tribunale

Sin dal primo provvedimento temporaneo (di una tuttora interminata serie) del Giugno 2017 il Tribunale ordinario adito, senza alcuna verifica pur in una situazione di rischio, senza badare ad altro disponeva da subito l’immediato “ricongiungimento con l’altro genitore”, in pendenza del procedimento per Ordine di Protezione e, poco dopo, emanazione di provvedimento cautelare nei suoi confronti, in quanto riconosciuto “aggressivo e pericoloso, incapace di controllare gli impulsi e di accettare la fine della relazione”.

Malgrado ciò, in pieno contrasto con tale pronuncia, il Giudice Ordinario prestabiliva anche il regime di affidamento e collocamento alternato da eseguirsi “nel più breve tempo possibile” (poche settimane).

I servizi sociali

Venivano meglio incaricati con questo unico obiettivo, senza previa valutazione di fattibilità, i servizi sociali e consultoriali dell’ambito territoriale del nuovo domicilio dell’ex convivente, tra l’altro sguarniti di idoneo dipartimento minori e gravati da difetto di competenza nonché plurimi conflitti di interessi (essendo coinvolti con l’ex ed altresì in precedenza diffidati).

I servizi sociali, trascurando la loro posizione, dall’Agosto 2017 entravano nella vita mia e della piccola, stravolgendola e dando inizio alla demolizione della nostra storia, abitudini, attività e relazioni, impegnati in una improbabile mistificazione e sostituzione della nostra realtà di vita con una costruzione fittizia e falsata.

I servizi sociali fanno più confusione e danni che dare aiuto

Hanno preso in rapida successione una quantità decisioni ingiustificate, arbitrarie, invasive quanto dannose, esclusivamente finalizzate ad interventi costrittivi sulla bambina affinché accettasse e subisse, contro ogni suo interesse e volontà, ignorando il suo disaccordo, timore e disagio e così aumentandoli, la “figura paterna”, impostale attraverso pressioni, minacce e ricatti sottilmente giocati sul rapporto materno, fortemente attaccato e osteggiato, in un programma di cui siamo divenute entrambe ostaggio, ed ora soprattutto lei, fino alla estrema e più recente conseguenza dell’allontanamento, insistentemente richiesto “d’urgenza” dall’ex convivente.

Lo hanno disposto, inaudita l’altra parte, in palese mancanza dei “comprovati presupposti di rischio grave ed imminente”, calpestando i suoi e nostri sentimenti, benessere e diritti fondamentali.

Con l’intervento dei Servizi Sociali dall’estate del 2017 è iniziato un vero e proprio calvario di visite, incontri, colloqui lungo oltre 3 anni, a cui non mi sono mai sottratta, divenute in breve tempo, all’emergere delle evidenti criticità della situazione, imposizioni e pressioni di ogni sorta al fine di favorire detto “riavvicinamento”, ignorando e forzando il diniego e timore della bambina ed imputandolo a un mio condizionamento.

Ogni sua richiesta e manifestazione di disagio veniva dapprima soffocata e celata, poi addotta a un mio presunto comportamento “ostile e ostacolante nei confronti dell’altro genitore”, verso cui venivo tacciata di avere “problematiche relazionali non risolte, conflittualità” (certamente subite), mostrando a tratti un “atteggiamento prima collaborativo, poi diffidente e ostacolante verso i servizi”, mentre eravamo entrambe sottoposte a percorsi psicologici, psichiatrici e visite forzate (un vero TSO illegittimo), incontri protetti dagli esiti devastanti (oltre 120 in 3 anni e mezzo), patendo continue vessazione materiali e morali cui non potevamo sottrarci, sempre sotto la malcelata minaccia dell’allontanamento, ricevendone grandi danni a più livelli.

La bimba affidata all’ente

Dal Febbraio 2018, a motivo dell’ “interesse della minore”, il Servizio Sociale su impulso di parte ottiene l’affidamento della piccola per consentirne il prelievo forzato da scuola (1-2 volte la settimana) da parte di un’educatrice (poi sostituita più volte), allo scopo di condurla alle lunghe visite con l’altro genitore, “altrimenti ostacolate”, vincendo la manifesta riluttanza e malessere della bambina, sempre crescenti ma negati e raramente relazionati, se non con accenni superficiali e senza approfondire.

Una vita annullata dal “sistema”

Da allora, la nostra vita è stata annullata, ridotta in totale balia e schiavitù delle mutevoli pretese dell’ex convivente e dei servizi sociali, che lo assecondavano imponendo continue variazioni agli appuntamenti, sempre nuovi operatori (ne sono intervenuti oltre una ventina) e “calendari” di un progetto inesistente, che avanzava nella cieca ed ostinata direzione prestabilita dal giudice in ordine al solo “rispetto della bigenitorialità” e rivendicazioni di controparte, sopprimendo ogni altro diritto, prevaricando l’invocato benessere della minore, che invece subiva insostenibili limitazioni e compromissioni delle stesse libertà personali e diritti essenziali, contro ogni ragionevolezza.

Interventi ad altalena

Gli stessi interventi venivano più volte sospesi, poi ripresi senza approfondirne le motivazioni, dopo più o meno lunghi periodi di silenzio ed inattività dei Servizi Sociali che sparivano ogni qual volta emergevano criticità che non riuscivano a gestire; poi improvvisamente riprendevano, su disposizione del Tribunale Ordinario che accoglieva puntualmente improvvise rimostranze e solleciti di controparte.

Le decisioni erano assunte senza verifica alcuna, ratificate ex post attraverso arbitrarie valutazioni dei servizi, riferendo “visite e colloqui psicologici” parziali che solo fornivano un generico nulla osta a proseguire, “vista la positività dei risultati”, mai dimostrata in concreto (semmai l’opposto) se non con affermazioni suggestive, circolari e autoreferenti, fondamentalmente non veritiere.

Inutili, in un procedimento sostanzialmente privo di contraddittorio, le obiezioni ed istanze presentate sulla base delle contrapposte ed innegabili evidenze che, ove fornite, venivano nascoste o distorte a “ulteriore prova dell’ostilità”.

Veniva parimenti respinta la richiesta di una perizia ed ogni altra domanda di approfondimenti tracciabili; veniva poi improvvisamente disposta una CTU, solo dopo 2 anni dall’inizio del procedimento (Novembre-Marzo 2018), ad interventi oramai più che avanzati, in uno dei tanti momenti critici di impasse del “progetto di riavvicinamento”, che non si riusciva in altro modo a sbloccare (se non ammettendone l’inadeguatezza e l’irrealizzabilità).

La detta Consulenza Tecnica veniva così disposta irregolarmente su richiesta di una “commissione interservizi” territoriale estranea e non compatibile al caso, accolta con procedura irregolare (al di fuori del contraddittorio), con conferimento di incarichi eccedenti le competenze peritali (previsioni ed elaborazioni di un progetto). L’indagine stessa risulta tecnicamente scorretta, superficiale, carente, lacunosa, incompiuta, pregiudiziale e si limita esclusivamente a riprendere e riproporre, aumentate, le presunzioni e falsità denigrate dall’ex sul conto mio e dei miei familiari, screditando anche la loro parola e immagine, sostenute dalle stesse operatrici dei servizi (uniche ascoltate escludendo chiunque altro da mia parte), frattanto coinvolte a suo favore nei procedimenti penali da lui attivati contro-denunciandomi al fine di scagionarsi.

L’elaborazione del programma

Si giunge all’elaborazione di un programma impraticabile, completamente avulso dalla realtà, ignorata senza procedere ad alcuna verifica o serio approfondimento della situazione e delle vicende occorse, lasciando ancora inascoltate le nostre versioni, compresi i contributi dei professionisti che mi avevano dato sostegno seguendo il caso, come i pochi (ma determinanti) elementi fattuali comunque emersi nei colloqui peritali malgrado occultamenti, pressioni e manipolazioni operate dalle “professioniste” incaricate, per nulla neutrali anche in questa sede.

Il progetto di avvicinamento

Il prodotto è un “progetto” (fuori competenza della CTU) di avvicinamento (consegne periodiche forzate) all’ambiente dell’altro genitore (magnificato senza verifiche di idoneità), con scopo convivenza entro fine estate. Il Giudice ordinario accoglie appieno il progetto, acriticamente, senza minimamente considerare i pareri avversi dei tecnici di parte, e ne ordina ai Servizi sociali l’esecuzione immediata, ignorando ogni diversa proposta e ragionevole alternativa, o la richiesta di ulteriori cautele e valutazioni.

Malgrado la presenza di forti criticità, il D.A. risulta completamente idealizzato, trascurato ogni elemento avverso, problematica e rischio (compresi i precedenti e i procedimenti penali ancora in corso) a fronte della parallela demolizione della figura materna, fatta apparire al confronto negativa, anche in assenza di alcun concreto rischio o danno alla minore; nella preveggente previsione della “malaugurata ipotesi di fallimento” del programma, la CTU prescriveva già l’allontanamento, solo rimandato in attesa della prima occasione utile.

Giunta subito dopo a sconfessare clamorosamente la perizia appena conclusasi ed ogni sua previsione, si verifica l’ennesimo episodio di intemperanza dell’ex convivente che, nell’Aprile 2019, perdeva nuovamente il controllo a causa di un forte scompenso della di lui madre di fronte alle comprensibili riluttanze della piccola, costretta a trascorrere un altro intero pomeriggio chiusa presso il loro domicilio, dove veniva portata contro la sua volontà, anche nel giorno del suo compleanno, anziché festeggiare come sempre con la mamma e gli amici.

Costui, proprio durante uno degli incontri protetti subito successivi al deposito della CTU che ne esaltava inverosimili doti, qualità, capacità e persino titoli in realtà inesistenti, presumendo un “rapporto privilegiato” con la figlia, in preda ad uno dei suoi soliti eccessi d’ira tipicamente la aggrediva e si sfogava contro di lei, assieme alla madre, entrambi offesi dalle sue richieste di poter ritornare dalla sua mamma e dalle manifestazioni di disagio nel dover restare dentro quella casa con loro, per ore.

Quella casa era per la bimba un luogo estraneo e sgradevole, dove veniva condotta a forza da quando lui era tornato a convivere con la anziana madre, figura problematica e negativa, da sempre assente, ostile e danneggiante nei nostri confronti e rapporti, e quindi temuta, la quale è stata improvvisamente introdotta e coinvolta, senza alcuna valutazione, nel già iper-critico avvicinamento al “padre”, per poi vedersi anch’essa pienamente “validata” dalla CTU (scelta dal Giudice Ordinario a primo incarico al di fuori del territorio e di competenza), noncurante di 8 anni di totale assenza e continui attacchi al legame familiare, dopo un primo ed unico “colloquio congiunto” di pochi istanti assieme al figlio, e da qui considerata come fosse sempre stata presenza “naturale, benevola e indispensabile” nella vita della bambina, sebbene la realtà dicesse esattamente l’opposto.

I servizi sociali sospendono gli incontri

All’episodio suddetto seguiva nuova sospensione degli incontri da parte del SS, come di ogni percorso psicologico consultoriale (già peraltro interrotto dal Settembre 2018), prolungatasi stavolta per ben 7 mesi (Aprile-Novembre 2019) durante i quali, tra una nuova lunga assenza del servizio, ben 3 rinvii di udienza consecutivi del Tribunale Ordianrio, archiviazioni strategiche, presunzioni di irreperibilità, smarrimento di notifiche, inspiegabili irruzioni della Polizia Giudiziaria presso il domicilio dei parenti ed altre rocambolesche vicende, ricompariva inaspettata un’istanza urgente di controparte (silente da circa 1 anno), che sollecitava la ripresa immediata del programma di interventi della CTU disposto dal Giudice Ordinario, lamentandone l’interruzione, accusando ancora una volta una mia mancata collaborazione e l’inettitudine dei servizi.

Ripartiva così, dimenticando tutto quanto realmente avvenuto in precedenza, un circo assurdo ed ostinato di incontri e visite cui dovevo trascinare la bambina in pieno periodo ferragostano nelle ore centrali del giorno, con le prevedibili reazioni e conseguenze anche sulla salute stessa della medesima, anche stavolta interpretate in modo distorsivo, ad automatica conferma dell’avverarsi della “malaugurata ipotesi” che dava poi movente, 3 mesi più tardi, al provvedimento di allontanamento, ultimo atto di una copiosa serie di anomalie procedurali, assunto ancora una volta in assenza di informazione e di contraddittorio.

Il comprensibile rifiuto dalla bambina di riprendere improvvisamente, proprio quando si era ri-stabilizzata dopo molti mesi di insperata tranquillità, l’incubo dei colloqui e sedute forzate a scopo affidamento al genitore ostile, rancoroso ed aggressivo, mai ravvedutosi, veniva addotto astrattamente alla responsabilità materna, dedotta da narrazioni falsate da parte delle operatrici, vecchie e nuove, coinvolte e incompatibili sul caso, che travisavano ancora comportamenti, circostanze ed accaduti, trasfigurando la realtà dei fatti in modo da farmi apparire ancora una volta “ostacolante”.

Si perpetrava il consueto assedio, sotto un fuoco incrociato di rinnovate vessazioni ed attacchi su più fronti da parte di tutti i soggetti coinvolti, compiendo l’ennesimo ribaltamento della situazione, che dava modo all’ex di ricomparire, “fortemente preoccupato” e amareggiato per non vedere soddisfatte le sue pretese sulle sorti della minore, che voleva ad ogni costo allontanata dalla madre e, piuttosto, collocata in una comunità.

Per ottenere questo, richiamava nuovamente in suo sostegno, al termine di torbidi movimenti, la riattivazione del deplorato piano della CTU e dei servizi, di cui aveva poco prima disconosciuto lui stesso l’operato, rifiutando gli incontri e l’intero “progetto”, oramai deluso e sfiduciato dei risultati, accusandoli anzi di averlo “danneggiato nei propri interessi” a mio vantaggio (non si comprende quale). Gli è bastato lamentare anche tardivamente, il preannunciato fallimento del programma, ed il Giudice ordinario accontentava definitivamente le sue pretese, accogliendone un’istanza di allontanamento immediato (non portata a mia conoscenza) inaudita altera parte e disponendo, pur in mancanza di qualunque rischio effettivo, il collocamento “temporaneo” in una comunità del territorio scelta dai servizi, ed evidentemente già pronta da tempo.

L’atto veniva realizzato in poche ore a nostra totale insaputa, con modalità traumatiche e coattive a cui non ho potuto neppure preparare la piccola, portata via dalle temute assistenti sociali solo con ciò che aveva indosso mentre doveva recarsi a scuola per poi proseguire una normale giornata e fine settimana ricchi dei consueti impegni e attività, tra vane suppliche e lacrime, con la falsa promessa di una “breve vacanza”, benché indesiderata, ad autunno inoltrato ed in pieno periodo scolastico.

Le vacanze, e si salta la scuola

Vacanza forzata che invece si è protratta per molti mesi successivi, nella totale indifferenza del Giudice Ordinario. che al contrario, sebbene nei provvedimenti disponesse riavvicinamenti e rientri a stretto termine, di fatto avallava ogni contrapposta azione dei servizi, palesemente volte a recidere il legame materno e producendo un allontanamento forzato sempre più profondo e prolungato, spingendo prima ad un affidamento stabile ai titolari della comunità, per poi pronunciarsi a favore del “padre”, ora prevalente e rappresentato come il candidato ideale e più idoneo, malgrado ogni opposta evidenza, tuttora rilevabile ma trascurata dagli “esperti incaricati”.

9 mesi di “vacanza”

La permanenza in comunità perdura ormai da oltre 9 mesi, contraddicendo la previsione di temporaneità e il presto rientro della minore, più volte rinviato dai servizi e dal Giudice Ordinario senza validi motivi, poi profittando dell’emergenza sanitaria per dimenticarlo del tutto, cercando invece di indurre sotto forti pressioni il consenso ad un affido continuativo ai titolari della struttura (paventando altrimenti “gravi conseguenze” sulle sorti della bambina, affidamento e capacità genitoriale), e da ultimo con un prolungato allentamento dei rapporti e legami con la figura di riferimento, pressoché annullati per oltre 3 mesi con l’occasione del periodo di lock-down per l’emergenza sanitaria, costringendomi al termine persino a sollecitare la ripresa, seppur tardiva, dei già radi incontri settimanali precedenti (2 ore alla settimana) totalmente interrotti senza previsione di recupero, ed ora riattivati con ritardo e nuovamente in forma protetta.

Ve ne saranno 2 soli, poiché il nuovo progetto, soggetto a continue variazioni quasi giornaliere, ora preannuncia un nuovo periodo di allontanamento (la bambina verrà portata in “vacanza in montagna” fino a fine estate), successivamente al quale si ipotizzavano “rientri settimanali presso i domicilii familiari” (la bambina dalla nascita ha sempre e solo vissuto presso la residenza materna, unica sua dimora), paventando l’idea di un irrealizzabile tentativo di collocamento alternato, già superata saltando direttamente alla decisione sulla convivenza “presso il nucleo paterno”.

Il nucleo paterno sinora inesistente ma già pronto ad accogliere la bambina (senza verifiche), assumendo come sempre quanto da ultimo richiesto nelle relazioni depositate dalle operatrici dei servizi incaricati (senza titolo né fondamento), a pieno sostegno e rinforzo delle istanze di controparte, cui si attende a momenti solo il consueto avallo del Giudice ordinario.

Parallelamente i procedimenti penali, instauratisi da inizio 2017 a seguito delle mie segnalazioni ed esposti relativamente alle vicende occorse ed in particolare chiedendo protezione dalla situazione di pericolo e disagio a fronte dei maltrattamenti e vessazioni subiti da me e la piccola (tutti smembrati in reati minori e assegnati a P.M. differenti, ma sotto la regia di un unico ispettore, prevenuto nei miei confronti e la cui attività si è mostrata poco limpida, hanno percorso ambigue vie, ricalcando il solco delle vicende dell’affidamento, seguendole di pari passo a palese favore dell’ex, nel tentativo di epurarlo da ogni addebito e responsabilità, a detrimento della mia posizione e reputazione personale, che ne risulta ribaltata e gravemente danneggiata.

Le varie indagini, sia in ambito civile (a cura dei Servizi sociali e del Giudice ordinario) che penale (inquirenti e Pubblico ministero) sono state del tutto parziali e superficiali, condotte con evidente pregiudizio, portando ad assumere sin dall’inizio le versioni contrastanti e sfornite di prova narrate dall’ex a sua discolpa.

Configuravano un quadro falsato in cui venivo screditata e fatta passare per ostile, calunniosa ed instabile (mentre in realtà subivo tutto questo) malgrado ogni prova ed elemento contrario a carico dell’ex (mai considerati), fino alle richieste di archiviazione e alla presentazione di varie contro-denunce nei miei confronti, sostenute dalle sole dichiarazioni a suo favore delle stesse operatrici dei Servizi Sociali tuttora incaricate degli interventi sulla minore e dei percorsi genitoriali prescritti dal Giudice Ordinario, che tradendo ancora la necessaria neutralità, rappresentavano nelle relazioni presentate anche in sede giudiziaria un quadro distorto da una serie di pesanti falsità, attribuendomi in via presuntiva, o non veritiera, intenzioni, comportamenti e valutazioni difformi dalla realtà fattuale, ponendo altresì in discussione la mia credibilità e qualità, danneggiando la mia immagine e reputazione, e fornendo un profilo deteriore della mia persona, almeno a livello giudiziario/processuale.

Tutti i procedimenti aperti in ambito civile sia penale relativamente a questo caso, appaiono viziati da pesanti e reiterate scorrettezze e anomalie procedurali e sostanziali, violazioni dei principi del contraddittorio, della difesa e del giusto processo, in un’altalena confusiva e disordinata di movimenti poco chiari e lineari (rinvii, anticipazioni, riserve, scadenze e singolare apposizione di termini, spesso non rispettati, fughe e mancanze di informazioni ufficiali, disguidi ed espedienti vari, con tempistiche a differenti velocità), come a voler mettere in difficoltà o impedire la difesa, ed inquinati da un evidente pregiudizio e parzialità che ne invalida la forma e la sostanza, inficiando a catena i provvedimenti adottati in grave danno dei diritti essenziali dell’equo giudizio, nonché quelli fondamentali.

La richiesta

Ne risulta pertanto necessario ed urgente l’annullamento/sospensione, con effetto immediato sull’interruzione degli interventi sulla minore ed il suo ritorno alla precedente situazione di vita e collocazione materna, in attesa di una totale revisione, da compiersi con avocazione da parte di diverso organo o sede, prefigurandosi altrimenti l’inaccettabile aggravarsi del danno subendo a causa dell’allontanamento e sradicamento totale e protratto dal suo ambiente affettivo e di vita.

Nota della redazione
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Ilaria Maria Preti

Giornalista, metà Milanese e metà Mantovana. Ho iniziato giovanissima come cronista, critica gastronomica e politica. Per anni a Tvci, una delle prime televisioni private, appartengo alla storia della televisione quasi nella stessa linea temporale dei tirannosauri. Dal 2000 al 2019 speaker radiofonica di Radio Padania. Ora dirigo, scrivo e collaboro con diverse testate giornalistiche, coordino portali di informazione, sono una Web and Seo Specialist e una consulente di Sharing Economy. Il futuro è mio

Un pensiero su “A Imperia anche il giudice ordinario civile ordina che i bambini vadano in comunità

  • Bella storia. Bisognerebbe continuare ad indagare in Liguria su cosa succede nel business degli affidi e della solidarietà “gratuita”. Le case famiglia sono tutte coordinate fra di loro e fanno muro per tenersi i bambini e le rette dei Comuni, in Liguria. Ad esempio, c’è una casa famiglia che si chiama Pollicino, che a terra lascia certe briciole di pane… che a raccoglierle ci si costruisce la casa della strega…

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