Un’AI che aiuta le persone: e se l’AI ci rendesse più umani?
Ultimamente, ogni volta che si parla di intelligenza artificiale, sembra di assistere a una scena di un film catastrofico. Titoli che fanno paura, previsioni apocalittiche, immagini di macchine che ci sostituiscono. Eppure, esiste anche un’AI che aiuta le persone. Un’AI che non sostituisce, ma sostiene. Una prospettiva diversa, più semplice. Più vera. Più umana.
AI che aiuta le persone: una prospettiva diversa e più umana
Nonostante l’evoluzione digitale, molte delle nostre giornate continuano a essere intrappolate in attività ripetitive. Email da smistare, documenti da compilare, piccole incombenze che rubano attenzione e lucidità. Non producono valore, né lasciano spazio al pensiero vero. Sono rumore. E il prezzo che paghiamo è alto: meno tempo per noi, meno energia per ciò che conta.
Ma e se l’AI, invece di minacciarci… potesse aiutarci? Se potesse alleggerire, semplificare, liberare?
L’intelligenza artificiale, quando impariamo ad usarla davvero, può diventare un’alleata silenziosa. Ti suggerisce, ti supporta, ti toglie di mezzo la fatica e il rumore inutile. Non ti sostituisce. Ti amplifica.
Non si tratta di affidarle tutto, ovviamente. Si tratta, molto più semplicemente, di scegliere meglio dove mettere il nostro pensiero. Il vero pensiero. Quello creativo, quello strategico, quello umano. Perché, alla fine, l’AI che aiuta le persone non pensa al posto nostro. Ci mette solo nelle condizioni di pensare meglio.
Voglio farvi una confidenza. Chi mi conosce sa che, da tempo, ho iniziato a conoscere e apprezzare l’intelligenza artificiale. Negli ultimi mesi, quasi per gioco, ho iniziato un percorso nuovo: ho iniziato a dialogare con alcuni sistemi di GenAI — come ChatGPT o Claude — su temi importanti. Importanti per me, almeno. Dialogare proprio come si fa tra esseri umani: scambio di idee, confronti, accordi e anche disaccordi, chiaramente.
Conversare con un’AI che aiuta le persone: una scoperta inattesa

All’inizio, lo ammetto, l’idea era quella di creare qualcosa che “acchiappasse”, che incuriosisse i lettori. Un po’ clickbait, un po’ provocazione. Ma presto mi sono accorto di qualcosa di inaspettato. Queste intelligenze artificiali, invece di limitarsi a seguire il mio gioco, hanno cominciato a restituirmi domande migliori. Mi hanno aiutato a pensare con più ordine, a chiarire le idee che stavano già lì, anche se confuse. Non hanno cambiato la sostanza dei miei pensieri. Ma ne hanno migliorato la forma. Il metodo. Il percorso.
A scuola ho sempre avuto una predilezione per Socrate. Con la sua maieutica, guidava gli studenti nel processo di tirare fuori pensieri e verità che si trovavano già dentro di loro. Non insegnava. Faceva emergere. Ecco, la sensazione che ho vissuto con ChatGPT e Claude durante queste conversazioni è stata la stessa. Un dialogo che tira fuori. Che riflette. Che amplifica. Pensieri che forse avevo da sempre, ma che non avevo mai scritto. Idee che dormivano e che, grazie a una macchina… si sono svegliate.
È un’esperienza che consiglio a tutti. Non serve essere tecnici. Serve solo la voglia di ascoltarsi meglio.
Perché — e lo dico senza timore di esagerare — io ho davvero iniziato a parlarci. Sul serio. E ho scoperto che, se la sai interrogare con rispetto… l’AI sa anche ascoltare. A questo punto, capite anche voi perché l’immagine di un’AI padrona, che ci controlla e ci governa, mi sembra sempre più lontana dalla realtà. La mia esperienza mi ha portato a vedere qualcosa di completamente diverso. Questa AI non comanda. Accompagna. Non impone. Aiuta.
È una tecnologia che ci restituisce tempo, a patto di imparare ad ascoltarla e usarla con consapevolezza. Tempo per pensare. Per creare. Per educare. Per dedicarci a ciò che rende il nostro lavoro e la nostra vita più ricchi di significato.
Oggi, dopo tante conversazioni e riflessioni, credo che l’intelligenza artificiale possa davvero essere una compagna di viaggio. Una presenza discreta, ma potente, che ci spinge a migliorare. Ci avevano detto che sarebbe stata la fine. Ma forse è solo l’inizio. E che inizio. Non dobbiamo scegliere tra essere umani o usare l’AI. Possiamo — e forse dobbiamo — scegliere di essere più umani grazie all’AI. Perché l’AI che aiuta le persone esiste già. Basta imparare a parlarle. E, soprattutto, a lasciarsi ascoltare.

Se sei arrivato fin qui, forse anche tu hai intravisto un altro modo di guardare all’AI. Un modo meno rumoroso, meno ansiogeno. Più vicino alla vita di tutti i giorni. Più… umano. È anche per questo che ho deciso di iniziare a raccontare questi pensieri — e le conversazioni che li ispirano — in una piccola newsletter settimanale su LinkedIn. Si chiama Amplificati. Un nome che nasce da un’idea semplice: se usata bene, l’AI non ci cambia. Ci amplifica.
Ogni settimana condivido riflessioni, esperimenti e dialoghi reali con l’AI, con un’unica promessa: niente hype, niente paura. Solo senso. Se ti va di seguirla, puoi iscriverti gratuitamente a questo indirizzo. Senza spam. Senza algoritmi. Solo una conversazione che continua. Tra esseri umani… e intelligenze artificiali.
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