I racconti di Davide TrentarossiStoria e Cultura

Stiamo vivendo in una simulazione?

Vi siete mai chiesti se stiamo vivendo in una simulazione? Ma, soprattutto, se così fosse, sarebbe veramente una cosa negativa, come a prima vista potrebbe apparire? Prima però di capire se effettivamente stiamo vivendo in una simulazione, facciamo qualche premessa storica. Siamo a cavallo del cambio di millennio quando l’ipotesi della simulazione inizia a farsi largo fra le masse, grazie anche all’uscita al cinema di alcuni film come Matrix (1999), dove tale teoria viene esplicitamente proposta. Già anni prima, una tale idea aveva fatto velatamente la sua comparsa in altri film come Total Recall e Vanilla Sky, ma è solo con Matrix che l’ipotesi che stiamo vivendo in una simulazione al computer viene presentata al pubblico come effettivamente possibile.

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L’idea però che la nostra sia una realtà simulata affonda le proprie radici nell’antichità. Pensiamo al mito della caverna di Platone. Tutti gli uomini sono confinati dalla nascita dentro una caverna, bloccati, con le spalle rivolte verso l’ingresso, in modo che l’unica cosa che possano vedere siano le ombre, loro e delle cose del mondo esterno, proiettate sul fondo della caverna da parte di un enorme fuoco. Queste ombre rappresentano la “loro realtà”, mentre un osservatore esterno avrebbe chiaro di trovarsi di fronte a una simulazione della realtà. Più o meno nello stesso periodo (siamo nel IV secolo a.C.) un filosofo taiosta di nome Zhuangzi fece un ragionamento molto simile. Disse di aver fatto un sogno molto realistico nel quale pensava di essere una farfalla, ignara di essere Zhuangzi. Al momento del risveglio, si rese immediatamente conto di essere Zhuangzi e non la farfalla, ma la vera domanda che si pone il filosofo è: “sono io ad aver sognato di essere una farfalla, o è la farfalla che ha sognato di essere Zhuangzi?”. Detta in altri termini, quale è la realtà “reale”?

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Nel 2003 il filosofo Nick Bostrom pubblica un articolo molto famoso dal titolo provocatorio “Are you living in a computer simulation” in cui sostiene la forte probabilità che le cose stiano effettivamente in questa maniera e lo fa da un punto di vista statistico e di calcolo delle probabilità, dandone, in sostanza, una giustificazione scientifica.

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Il ragionamento di Bostrom, molto semplificato, è il seguente: date le seguenti tre affermazioni, almeno una di esse è probabilmente vera. La prima affermazione è che nessuna civiltà raggiungerà mai un livello di evoluzione tecnologica che la renda in grado di creare una realtà simulata. Proviamo a pensare all’evoluzione tecnologica nel campo dei videogiochi (il riferimento non è casuale, come avrete modo di capire nel seguito della lettura): ricordo ancora quando ero un ragazzino e mio padre portò a casa una “scatola” grigia, di plastica, dalla quale si staccavano due manopole. Una volta collegata a un televisore, compariva sullo schermo una linea verticale a dividerlo in due parti uguali; in ognuna di esse c’era una barretta (comandata dalla rispettiva manopola) libera di muoversi in verticale. Un quadrato veniva rimbalzato da un lato all’altro dello schermo ogni volta che veniva “colpito” da una delle due barrette. Era Pong, il primo videogioco della storia. Oggi i moderni videogiochi sono in grado di simulare mondi reali con una precisione che spesso li rende indistinguibili dalla realtà e sono passati solo quarant’anni. Vogliamo davvero credere che l’evoluzione tecnologica non arriverà mai a essere in grado di creare una realtà simulata? Personalmente trovo l’ipotesi altamente improbabile.

La seconda affermazione è che invece un giorno raggiungeremo questo livello di evoluzione, essendo quindi in grado di creare una realtà simulata. In questo caso però nessuno avrebbe il coraggio di “premere il pulsante ” e avviare la simulazione. Credo sia la meno probabile fra le tre: seriamente pensiamo che su oltre sette miliardi di persone nessuno abbia il coraggio di dare il via alla simulazione? magari anche solo per vedere cosa succede? Abbiamo fatto e continuiamo a fare cose ben più rischiose, pur consapevoli dei rischi connessi. Resta quindi la terza affermazione: la civiltà umana raggiunge un livello di evoluzione tecnologica tale per cui creare una simulazione della realtà indistinguibile dalla realtà stessa è possibile ed effettivamente dà il via ad una simulazione. Direi che la domanda si sposta radicalmente verso il “quando” sarà possibile (o “quando” è stato possibile) rispetto al “se”.

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L’ipotesi che stiamo vivendo in una simulazione è destabilizzante e non può lasciarci indifferenti. Sono tre i passaggi fondamentali per veicolare nella cultura di massa una qualsiasi idea, anche la più folle. Il primo passaggio è quello di introdurla in maniera non minacciosa. Quale miglior modo se non farlo attraverso dei film? Matrix è forse l’esempio più calzante ed esplicito, ma ne esistono moltissimi altri. Il secondo passaggio è quello di darne una legittimazione scientifica o comunque avallata da parte di esperti. Prima citavo Nick Bostrom, ma esistono molti scienziati e personaggi pubblici, ritenuti esperti, che se non la sostengono apertamente, la ritengono un’ipotesi estremamente plausibile. Il terzo passaggio, fondamentale, è quello di fornire delle prove o meglio delle evidenze che sia effettivamente così. Questa è la parte della storia che mi piace di più.

Supponiamo, per assurdo, che stiamo vivendo in una simulazione per davvero. Se così fosse, non potremmo mai averne una prova, perchè essa stessa farebbe parte della simulazione, messa lì apposta dall’ideatore della simulazione per farci sorgere il dubbio. Ma, essendo parte della stessa, sarebbe una “non-prova”. Pertanto, se non possiamo essere in grado di avere una prova scientifica, quali alternative avremmo per comprendere che ci troviamo in una simulazione. A mio modo di vedere, avremmo solo due possibilità: la prima è la cosiddetta “teoria degli errori o bug di programmazione”. Potremmo casualmente imbatterci in alcuni bug che il programmatore ha immesso nel codice (inconsciamente o meno) e questi ci farebbero immaginare la possibile esistenza della cosiddetta “realtà vera”, un po’ come succedeva con i deja vu del film Matrix. Se cercate su Internet troverete centinaia di video al riguardo.

La seconda possibilità che abbiamo di capire che stiamo vivendo in una simulazione sarebbe quella più drastica: la “rivelazione”. Immaginatevi di camminare per strada e, all’improvviso, un popup vi si para davanti agli occhi e il programmatore vi rivela che siete in una simulazione, un po’ quello che accade in The Truman Show. Se pensate che questa sia una possibilità abbastanza fantasiosa, non vi viene in mente che, forse, qualcosa di simile sia già accaduto? Circa duemila anni fa un certo Gesu di Nazareth comparve sulla Terra dicendo che la vita vera non era quella terrena, ma quella, ultraterrena, della nostra anima. Sto semplificando, me ne rendo conto e mi scuso se dovessi urtare la sensibilità di qualcuno, ma usando il linguaggio tecnologico moderno, mi verrebbe da dire: il corpo non è altro che l’avatar che la nostra anima usa per muoversi in questa realtà simulata.

In precedenza ho introdotto un paragone con i videogiochi. Non era a sproposito, in quanto una delle critiche che viene mossa alla teoria della simulazione riguarda più la scarsezza delle risorse necessarie che non l’inadeguatezza della tecnologia. Simulare, infatti, una realtà così complessa come il nostro universo richiederebbe una potenza di calcolo inimmaginabile. Tuttavia l’industria dei videogiochi usa uno stratagemma molto comodo. Dovendo utilizzare una quantità limitata di risorse, renderizza nei minimi particolari solo la realtà che ci è più prossima, lasciando il resto solo abbozzato. Proviamo a pensare a un videogioco che simula una realtà: vedremo gli oggetti che ci stanno davanti agli occhi con dovizia di precisione anche nei minimi dettagli; una volta però che questi oggetti ci sono passati dietro le spalle possono venire, per così dire, dimenticati dal programma di simulazione, liberando risorse e potenza di calcolo. Allo stesso modo gli oggetti più lontani risultano solo abbozzati (minima richiesta di risorse) e diventano sempre più dettagliati al nostro avvicinarsi. Questi dettagli sono forniti grazie alle risorse che si sono liberate dopo aver oltrepassato gli oggetti che ci circondavano prima. Se ci pensate, non è tanto diverso da ciò che avviene nella realtà: cogliamo i dettagli solo di ciò che ci sta vicino, non degli oggetti lontani.

Esiste un secondo parallelismo con il mondo dei giochi. Un qualunque gioco, dal più semplice e banale a quello più complesso si basa su una serie di regole da rispettare e obiettivi da raggiungere per ottenere dei premi. Beh, a livello concettuale, non vedo una grossa differenza con, ad esempio, una religione come il Cristianesimo: esistono delle regole da rispettare (ricordate I Dieci Comandamenti?), degli obiettivi da raggiungere (fare il bene, rifuggire il male, diffondere amore verso tutti gli altri,…) e ottenere dei premi (la vita eterna). Prendete questo passo della seconda lettera ai Corinzi: “Noi tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene, sia in male” e provate a rileggerlo nell’ottica di un videogioco: “Ogni giocatore verrà premiato per tutto ciò che avrà fatto con il proprio avatar in base agli obiettivi raggiunti, rispettando o meno le regole del gioco“.

Sono sempre stato un appassionato di astronomia, ma ho sempre avuto parecchie difficoltà nel comprendere la Teoria del Big Bang. Già è complicato immaginare tutta quanta la materia concentrata in un unico punto, da cui, senza apparente causa, tutto l’universo si origina in seguito a un’immensa esplosione. Seguono poi altre domande a cui dare una risposta è ancora più complesso: dove si espande il risultato di questa esplosione? e dove continua ad espandersi, ancora oggi, l’universo? cosa c’è al di fuori di esso, nello spazio in cui si sta espandendo? cosa c’era prima di quell’esplosione? Sono domande destinate a non avere risposta: sto applicando le categorie di spazio e tempo, che nascono con il Big Bang stesso.

L’ipotesi che stiamo vivendo in una simulazione però offre una spiegazione molto più semplice (ricordate cosa vi raccontavo a proposito del rasoio di Occam): supponiamo per un istante che l’ipotesi della simulazione sia vera. Esisterebbe quindi un computer, estremamente potente che contiene al suo interno un programma, che simula la nostra realtà così come noi la conosciamo. Al momento di fare il boot di questo computer, tutta quanta la materia che comporrà il nostro universo esisterà in maniera del tutto indifferenziata dentro nel processo di avvio. Una volta avviato il sistema operativo, un programma (Universo_attualmente_conosciuto.exe) parte e “crea” l’Universo così come lo conosciamo noi, con le nozioni di spazio e tempo a noi familiari. Il Big Bang non sarebbe altro che la pressione del tasto ON su questo supercomputer. Tutto ha un senso, all’interno della dimensione di quel computer e tutto ciò che sta fuori di esso non è conoscibile da chi sta dentro nella realtà simulata. E se questa fosse una delle “non-prove” di cui parlavo prima? Provate a riflettere: la comprendo e ha perfettamente senso perchè facciamo parte della stessa realtà (simulata?).

Appurato quindi che non c’è possibilità di trovare prove “scientifiche” del fatto che stiamo vivendo in una simulazione, possiamo cercare delle prove indirette, che ci indichino la possibilità che effettivamente questa teoria abbia un fondamento. Molti provano a scandagliare la storia alla ricerca di qualche traccia e sono convinti di trovarla all’interno di alcuni avvenimenti per cosi dire dirompenti, improbabili o bizzarri. Sarebbe come se il programmatore di questa realtà simulata si stesse annoiando e avesse deciso di scombinare la sua creazione introducendo qualcosa di altamente imprevisto. Parliamo di avvenimenti quali l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti o la Brexit: chi se li sarebbe mai aspettati? Personalmente trovo che il finale dello scorso campionato mondiale di Formula 1 sia uno di questi. Credo che nemmeno la miglior sceneggiatura di Hollywood potesse programmare un finale simile: dopo più di venti gare i due contendenti si presentano a pari punti al via dell’ultima gara e il titolo viene assegnato all’ultima curva, con una decisione a dir poco discutibile da parte del direttore di corsa. Decisioni discutibili che si sono susseguite durante tutto quanto il campionato.

Sempre in tema di Formula 1 mi è capitato un altro esempio che mi viene facilissimo inquadrare come indizio che stiamo vivendo in una simulazione. Il mese scorso mio figlio ed io siamo stati a Monza durante le prove del sabato per il Gran Premio d’Italia. Avevamo due posti sulle gradinate all’interno della curva parabolica, ma durante la giornata ci siamo spostati in diverse zone all’interno del parco. Ebbene, spesso, sia dentro l’autodromo che nel tragitto verso i pulman prima e la stazione dei treni dopo, continuavo a vedere sempre gli stessi gruppetti di persone, come se il computer della simulazione ottimizzasse le sue risorse mostrandomi sempre le medesime persone. Devo confessarvelo, è stata una situazione molto strana, ben lontana dalla normalità.

Non sarà mai possibile trovare una prova scientifica del fatto che ci troviamo all’interno di una simulazione, ma allo stesso modo diventa altrettanto difficile dimostrare che il nostro mondo non sia una simulazione, da un punto di vista filosofico più che da uno puramente scientifico. Il focus dunque si sposta verso la seconda domanda che formulavo all’inizio di questo post: se veramente stessimo vivendo in una simulazione, sarebbe questa una cosa negativa? Detto in altri termini: che senso avrebbe la nostra esistenza?

Se prendiamo per buona l’ipotesi della simulazione, la nostra vita potrebbe essere un esperimento sociologico, ideato da qualche civiltà post-umana o aliena, oppure, anche più semplicemente, un gioco. In ogni caso, non ci sarebbe una grande differenza: quella che sto vivendo è la mia realtà, vera o simulata poco conta; essa è ciò che il mio corpo fisico sperimenta come reale, anche se questo corpo fosse composto di bit invece che di atomi. Lo scopo, credo, sarebbe sempre il medesimo: fare e ottenere il massimo con gli strumenti che ci sono stati messi a disposizione. Questo vale in un gioco come nella vita. Per tornare al parallelismo con la religione cattolica, mi torna in mente la parabola dei talenti. Il Signore dà a un servo cinque talenti, a un altro due e a un altro uno solo. Non dà in misura uguale a tutti, ma a tutti ha dato la vita con il compito ben preciso di farla fruttare. Spogliando il discorso di ogni riferimento religioso, si potrebbe tradurre anche con le parole di Ligabue “Ci han concesso solo una vita, soddisfatti o no”. Ci è stata data questa esistenza, reale o simulata poco importa: ha perfettamente senso impegnarci per ottenerne il massimo, con quello che ci è stato dato. Proprio come in un gioco. Del resto, a chi non piace giocare e, magari anche vincere?

Nota della redazione
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Davide Trentarossi

Nato a Milano, l’8 maggio… di qualche anno fa, ma cresciuto in provincia. Ho scoperto molto tardi la passione per la scrittura. Sono laureato in Ingegneria Informatica. Amo viaggiare, e questo mi ha portato a lavorare in giro per il mondo. Molti aeroporti sono stati il mio “Second Office”. Dall’Australia al Sud America, da Mosca a Miami, oltre all’Europa. Amo viaggiare leggero: nel mio trolley il computer su cui appuntare le idee per un nuovo libro, l’inseparabile smartphone, per restare connesso al resto del mondo e un paio di cuffie per ascoltare la musica, un’altra grande passione. Visita la mia pagina su Amazon: https://www.amazon.it/Davide-Trentarossi/e/B081QT913W/

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