Botteghe e ristoranti

Capperi, che pizza. Lo confermo

Milano – Un pranzo di mezzogiorno per assaggiare le pizze di “Capperi che pizza” della famiglia Acciaio e, perchè no, anche le birre Titanium.

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Mi piace mangiare. Non mi tiro mai indietro. Sono una entusiasta del cibo. Sapori e profumi mi coinvolgono. Quando sono poi particolarmente curati, originali, “fatti come mamma e nonna comandano” mi entusiasmano ancora di più. Sono curiosa e ho il dono di sapermi stupire. E’ questo l’effetto che mi ha fatto Capperi che pizza, che si trova a Milano, in piazza Santa Maria del Suffragio 3.

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Ad accoglierci c’era il titolare, che ha una sana e simpatica faccia napoletana. E’ un fatto positivo. In una città cosparsa di pizzaioli egiziani e tunisini, la pizzeria della famiglia Acciaio è una garanzia. Per carità, la pizza buona è la pizza buona, chiunque la faccia, se però riconosci subito l’origine, è come se ci fosse un marchio di qualità. Un marchio che si è mostrato con il metodo di impasto, a mano e con solo un piccolo aiuto da parte delle macchine perchè “tutti sono artigiani, ma il vero artigiano lavora con le mani”. E’ quanto ha detto Luigi Acciaio, raccontando il suo lavoro di pizzaiolo. Per lui è meglio fare 200 pizze davvero buone, che 500 ‘alla come và, và’ “.

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Poi, il lievito madre e le farine non raffinate

La pasta utilizzata per la pizza non è la farina 00, ma la farina 1. Più scura, non totalmente integrale, morbidissima ed elastica, più granulosa. Non è tradizionale? In realtà si, perchè la farina 00 è una invenzione moderna. Il risultato si sente subito. Durante l’impasto si è sparso un intenso profumo di lievito e farina, come non lo sentivo da quando, da bambina, entravo di nascosto nella stanza del forno della panetteria della mie zie, a Quistello nel mantovano.

Il primo assaggio è stata la pizza con le olive nere e i friarielli. Più napoletano verace di questo è impossibile. Il secondo assaggio, la pizza con la mozzarella di bufala, soda e asciutta, che sa di latte di bufala. Olio rigorosamente di oliva extravergine, il sapore si sentiva tutto. Buonissime anche le pizze al pesce, tonno e acciughe. Il basilico fresco e profumatissimo. Insomma, se lo scopo del brand Capperi che pizza è quello di far apprezzare la cucina napoletana nel mondo, c’è riuscito.

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Il brand Capperi che pizza

Una piccola catena di negozi in franchising che si sta diffondendo in Italia. La caratteristica dell’arredamento è un albero di ulivo al centro del locale. I colori sono quelli napoletani, bianco e azzurro, le piastrelle del pavimento coloratissime, con giallo limone, arancio, verde. Ogni piastrella una diversa dall’altra. Allegre ma l’insieme non è chiassoso. Quando si immagina la Napoli bella, la si immagina così. Uno stile particolare, colorato, ma non esagerato. Soprattutto, però, i negozi sono specializzati nella vendita e nell’uso di prodotti artigianali dop e igp specifici per le pizzerie.

I prodotti

Il gioco è tutto nei sapori, nella qualità e nella cura con cui sono preparati gli ingredienti. Dietro al cibo c’è cultura. Nulla è della grande distribuzione. Sono tutti prodotti di filiera e di piccoli artigiani. Ecco perchè quando si assaggiano le olive nere, vien di chiedersi dove le hanno trovate. Profumate, morbide, leggermente oleose, per niente acidule, ma dal sapore deciso. Insomma, sono davvero olive.

Per i friarielli il discorso diverso. E’ una specie di broccoletto che cresce solo in Campania. E’ parte della pizza e della cucina napoletana. Ottime anche le birre artigianali, di diversa gradazione e prodotte dalla famiglia Acciaio. Il marchio è Titanium, tanto per rimanere nell’ambito dei metalli.

Sui dolci ho assaggiato le pizze dolci. Una con le nocciole piemontesi e una al pistacchio. Buone, perchè buoni sono i prodotti utilizzati, però la pizza è pizza, e i dolci sono dolci. Io sono decisamente troppo tradizionale.
Il discorso generale è che quando si mette amore e cultura nella preparazione e nella ricerca dei prodotti giusti, il cibo diventa quasi un’opera d’arte. Anzi un’opera artigiana.

Nota della redazione
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Ilaria Maria Preti

Giornalista, metà Milanese e metà Mantovana. Ho iniziato giovanissima con cronaca, cibo e politica. Per anni a Tvci, una delle prime televisioni private, appartengo alla storia della televisione quasi nella stessa linea temporale dei tirannosauri. Dal 2000 al 2019 speaker radiofonica di Radio Padania. Ora dirigo, scrivo e collaboro con diverse testate giornalistiche, coordino portali di informazione, sono una Web and Seo Specialist e una consulente di Sharing Economy. Il futuro è mio

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