Live Music, locali e compensi: che marasma!
Musicisti e gestori spesso polemizzano circa i compensi: le ragioni del cuore e le ragioni di cassa.
Prendo parte, con il presente intervento, all’annosa querelle relativa al rapporto tra musica emergente, coverband e locali. E lo faccio dopo molta esitazione. L’attività musicale, a livello amatoriale e semiprofessionistico (e quindi a livello di esibizioni in locali cittadini eseguite da musicisti sconosciuti contro un corrispettivo variabile) è un fatto sociale che per qualcuno prende la forma della movida e per altri quella della fonte di reddito.
Parliamo – è vero – di non professionisti, ma guai a confondere la mancanza di professionismo con la mancanza di professionalità: in alcuni casi capita che i musicisti non professionisti siano in possesso di un bagaglio tecnico e professionale in tutto equiparabile a quello dei colleghi professionisti, ma non possano definirsi tali perché la propria fonte di reddito è costituita da attività che nulla hanno a che vedere con la musica. I palchi delle live house cittadine sono talora calcati da professori, avvocati, cameriere, benzinai e studenti che – più o meno titolati – mostrano una perizia tecnica, una verve interpretativa e una presenza scenica che non sfigurerebbero all’interno del palinsesto professionistico. Però professionisti non sono, venendo di conseguenza derubricati a semplici hobbysti. In molti altri casi – ahimé troppi ! – si tratta tuttavia di musicisti mancati, eterni dilettanti che suonano da cani senza la minima idea del concetto di decenza. Inevitabilmente, costoro congestionano e dopano tutto il circuito musicale urbano. In questo marasma, si pone un amletico interrogativo, risolto, a seconda della fazione interessata, con una feroce opposizione binaria. Il gestore del locale ospite deve retribuire la band (oltre al trattamento enogastronomico) per la prestazione musicale ? E in che misura ? A quota fissa o in base al successo commerciale della serata ? Interrogativi ragionevoli, che portano a un punto che è da sempre la spietata bisettrice tra le voci che danno forza a piattaforme di interessi contrapposti.
Ho sempre cercato di valutare la situazione con distacco, perché sono da vent’anni un musicista rock e ho tante serate alle spalle. Ho visto tanti locali, tante situazioni, tanti trattamenti diversi. E so quello che c’è dietro. Ho poi alcuni amici che gestiscono – o hanno gestito – locali, e mi hanno apertamente confidato quale sovraumano sforzo si renda necessario per tenere aperta e funzionante un’attività commerciale nel settore dello svago e del voluttuario nel pieno rispetto delle varie prescrizioni di legge. Ogni orecchio è accarezzato dal canto di una sirena diversa.
In linea di principio, credo che sul punto fatidico si debba riflettere con grande lucidità. E parlandosi chiaro. Il musicista è portatore di nobili e caldi interessi artistici, e con la sua attività produce un meraviglioso solletico emotivo che va a giovamento di se stesso e del pubblico. Il gestore è, invece, portatore di freddi e cinici interessi monetari, dovendo gestire la propria attività con la stella polare del profitto. Non è un mecenate, anche se a molti piacerebbe tantissimo esserlo. Nell’ esercizio della gestione deve dimenticare le proprie passioni. Questa dinamica è particolarmente marcata nelle attività piccole e medio-piccole. La musica è fatta di suggestioni, pur restando un’artistica forma di matematica. Portare avanti il locale è solo ed esclusivamente bieca, rozza e sporca matematica. Ragioneria, insomma, di quella che fa a cazzotti col condominio da pagare. In linea di principio, secondo la più elementare legge dello scambio, chi cerca e si propone (nella maggior parte dei casi la band) si attesta in una posizione di relativo svantaggio nei confronti di colui che è cercato (il gestore, che manterrà – di conseguenza – un peso negoziale maggiore ). In fase di trattativa, il gestore rivolge sempre la fatidica e odiata domanda, quella che crea scompiglio e nervosismo, una pietra di scandalo tagliata da tre semplici parole: Quanta gente portate?
Così andò, quella sera, tra il batterista Chick (smilzo capellone) e il gestore Stu (simil-biker decisamente fat, sulla cinquantina), titolare di un locale di modeste dimensioni nella midtown.
CHICK: “Ciao, sto cercando il titolare o il direttore artistico del locale.”
STU: “Ciao, sono io.”
CHICK: “Il titolare o il direttore artistico ?”
STU: “Entrambi. Questo è il Marvin Rolling Road, mica l’Old Vic.”
CHICK: “Ah, ok. So che fate serate live, e sono qui per proporre la mia band. Facciamo hard rock dagli anni ’70 ad oggi, buon livello, abbiamo la demo live e le info sulla nostra pagina FB, siamo i Revengers XX Hole.”
STU: “Un tempo facevo suonare almeno tre sere ogni settimana. Oggi molto meno, per i motivi che puoi immaginare. Che ci sappiate fare lo do per scontato… o non saresti qui, voglio sperare ! A proposito, posso offrirti qualcosa ?”
CHICK: “Uhm…no, grazie.”
STU : “Avete un seguito di persone ?”
CHICK: “Eh… beh… l’hard rock tira sempre, abbiamo sempre avuto un discreto pubblico…”
STU : “Già. Volevo chiederti se avete già un certo numero di adesioni sicure per il vostro spettacolo… per seguito intendevo questo!”
CHICK : “Sì, beh, non è che facciamo i pierre… cioè, noi suoniamo, poi il locale dovrebbe già avere il proprio giro, no?”
STU : “Voi non fate i pierre, ma io non sono mica un principe rinascimentale per mantenere gli artisti a corte! Io porto il verme al nido vendendo birre e toast, amico mio ! Io rispetto i musicisti, io stesso ho suonato e tengo duro. Il karaoke mi garantisce, mediamente, una trentina di persone in più, lo sai questo ? Però il karaoke mi fa cagare, e così cerco di evitarlo. Ma faccio questo lavoro per vivere, e i conti devono tornare. Presumo che voi vi manteniate facendo altro, o non saresti qui a trattare direttamente con me. Io, invece, campo col successo delle serate…”
CHICK : “No… certo… volevo dire… ”
STU: “Facciamo così. Oltre alle birre e ai panini, io vi garantisco un tot a prescindere. Non tanto. Anzi, poco. Un rimborso spese, diciamo. Che si assomma ai consumi, all’usura della strumentazione e alla regolarizzazione dei vari adempimenti. Insomma, tutte cose che mi accollo a fondo perduto. Ci sta, è il rischio d’impresa. E vi do un Venerdì sera. Diciamo… tra quattro settimane. Un piccolo giro ce l’ho, voi dovete solo aiutarmi ad ampliarlo. Due ore di rock. Vi garantisco sessanta dollari. Ci recuperate la benzina e vi coprite la prossima prova. E puoi star certo che se la serata decolla, ve la cavate bene, la gente viene e se la spassa, ve ne do duecentocinquanta. Se guadagno io guadagnate voi, e viceversa. Nessuno bara, il successo di una serata parla da solo. E nessuno rischia le chiappe ! Lo so che è una sfacchinata promuovere l’evento, ma se lo facciamo entrambi, entrambi ci stiamo dentro. A questi livelli non si può ragionare, né io né voi, come nel giro grosso. Noi non siamo il giro grosso.”
CHICK: “Beh… non so, dovrei sentire i ragazzi… Cioè, noi in genere non suoniamo a provvigione…”
STU: “Buon per voi ! E’ questo, credo, il motivo per cui sei venuto tu da me e non io da te. Se vi va… fatevi sentire entro domani sera.”
Quid juris?
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