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Museo della Curtascia. Per non smarrire il ricordo

Ossona – Non sono in molti a conoscere il museo popolare della Curtascia a Ossona. E’ un museo privato e non è sempre visitabile. Viene aperto al pubblico solo una o due volte all’anno. Oppure si può chiedere al signor Paonessa, di far fare una visita privata. All’interno del Museo gli oggetti più incredibili che ci sono arrivati dal passato. Alcuni stupiscono, altri sono, per i nostri tempi, molto maliziosi. La storia, però, quella vera, è così: non conosce il politically correct. Ed è necessaria, per non smarrire il ricordo.

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curtasciaPer visitare il museo bisogna andare alla Curtascia, una delle belle e antiche corti di via Patrioti, che gli ha dato il nome, e chiedere del signor Paonessa. Potete anche dare una prima occhiata attraverso il video youtube che è pubblicato qui a fianco. All’interno del Museo, una incredibile raccolta di oggetti che arrivano dai secoli passati.
Ognuno racconta una storia. Su uno scaffale, in alto, una raccolta di zoccoli di legno intagliati a mano, proprio come quelli del film “l’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi, che con la sua poesia ha raccontato la vita dei contadini della bergamasca. Guardando quella fila di zoccoli sembra di vedere i contadini ossonesi che li portavano.
In una lunga canna di bambù appesa al soffitto sono appese, attraverso il loro manico, tante calderine, schiscette, piccoli bidoncini per il latte, quelli che si usavano quando il latte era venduto sfuso dal contadino e le latterie non erano altro che le stanze della casa di fianco alla stalla.

Caldarine e schiscette sono il simbolo dell’Ossona operaia, quelli che andavano a lavorare a Milano e non avevano la possibilità di tornare a casa a mangiare a mezzogiorno. Poi vi è una vetrinetta in cui sono raccolti diversi pezzi di bombe a testimonianza dei periodi tremendi delle due ultime guerre passate e qualcosa dimenticato nei luoghi della battaglia di Magenta. “Li abbiamo trovati nei campi, e sulle rive del Ticino, con il metal detector” dicono. Ci sono bombe a mano alcuni percussori, proiettili qualche fregio. Un elmetto tedesco, della Heer o della Wermacht, nel raro color verde mela del periodo prebellico del secondo Reich, fa la sua figura di fianco ad alcune foto di persone in camicia nera. Sono fotografie che tutti abbiamo, nascosti nei cassetti della nonna, da cui ormai raramente escono, e solo per essere mostrati ai nipotini, che ancora non conoscono la storia di quel parente che non era mica così cattivo come invece oggi raccontano oggi.

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Nei primi anni in cui ero a Ossona, e avevo i bambini piccoli, avevo l’abitudine di fermarmi a parlare al parco con le persone anziane. Mi piaceva molto ascoltare i loro racconti e a loro raccontarli. Fra questi c’era il racconto dell’arrivo degli americani alla fine della guerra. Un racconto che mi è tornato in mente quando ho visto tutta la serie di fotografie di uomini in camicia nera; uomini di cui riconosco i tratti somatici così somiglianti a quelli dei loro nipoti. La storia diceva che quando gli americani stavano arrivando sulla via Novara procedendo da sud verso nord, raggiungendo paese per paese tutti i comuni dell’Altomilanese le donne di Ossona si raccolsero in piazza e si incamminarono, insieme a a piedi sulla strada di Magenta e lungo al ferrovia del Gambadelegn, per rallentare con una serie di festeggiamenti, l’ arrivo di americani e partigiani in paese. Così avrebbero dato il tempo ai numerosi uomini di distruggere le camicie nere, le tessere del fascio, e gli altri documenti che provavano l’appartenenza di tutto il paese al partito fascista. Inoltre era necessario permettere ai più giovani, che erano riusciti da poco a tornare a casa, di nascondersi per non essere arrestati come disertori o come fascisti. Come dire: saranno anche stati dei liberatori, ma se fidarsi è bene, non fidarsi è meglio.
Tornando al museo, al piano superiore c’è una bellissima collezione di attrezzi da lavoro. Aratri, arnesi da meccanico e di tanti altri mestieri di cui si è persino quasi persa la memoria.

Nota della redazione
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Ilaria Maria Preti

Giornalista, metà Milanese e metà Mantovana. Ho iniziato giovanissima come cronista, critica gastronomica e politica. Per anni a Tvci, una delle prime televisioni private, appartengo alla storia della televisione quasi nella stessa linea temporale dei tirannosauri. Dal 2000 al 2019 speaker radiofonica di Radio Padania. Ora dirigo, scrivo e collaboro con diverse testate giornalistiche, coordino portali di informazione, sono una Web and Seo Specialist e una consulente di Sharing Economy. Il futuro è mio

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