MagazineIl mensile di Roberto ColomboSul divano per voi: recensioni

Un Gay Pride al cinema tra adozioni e unioni civili

“La Dea fortuna” di Ozpetek porta sul grande schermo i genitori gay.

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Per celebrare il gay pride o comunque vivere l’evento come una ricorrenza dell’anno al pari delle altre, tipo la festa della mamma o la cresima del nipote, uno dei modi può essere quello di gustarsi un film che parli della tematica omosessuale calandola nella normale realtà di tutti i giorni. Una proposta? “La dea fortuna” di Fernaz Ozpetek con Stefano Accorsi e Edoardo Leo.

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La trama del film

Il titolo prende ispirazione dalla statua dove i due protagonisti, Arturo e Alessandro, si sono conosciuti, visti e innamorati; in quel momento si incrociano le due storie personali che si fondano su altre esperienze tra cui quella che Alessandro ebbe con Annamaria (Jasmine Trinca), probabilmente la madre di suo figlio. Il film parla della capacità (o meno) che due genitori gay potrebbero avere di crescere ed educare dei bambini, poiché la storia si sviluppa appunto sulla volontà di Annamaria di lasciare i figli ai suoi due amici, essendo lei costretta ad un ricovero ospedaliero dall’esito imprevedibile.

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Tra coppia etero e gay, famiglia e individualismo

La differenza tra la capacità educativa che hanno le donne, più protettive verso i bambini, rispetto agli uomini, che tendono invece lasciare fare ai piccoli come se fossero già in grado di badare a se stessi; la capacità di creare un legame affettivo e personale; capire i bisogni e interpretare i segnali che i figli comunicano ai genitori; sono cose che i maschi (i papà) e le femmine (le mamme) fanno in maniera diversa e così la domanda Leccia nell’aria per la durata del film: due genitori dello stesso sesso sono in grado di crescere dei figli come una coppia eterosessuale? Oppure ci sono differenze educative e sostanziali?

I gay sul grande schermo: qualche precedente

L’omosessualità nel cinema era inizialmente nascosta, come nel film “Delitto perfetto” di Alfred Hitchcock dove i protagonisti non rivelano la loro natura, resa evidente da dialoghi che tradiscono intima conoscenza. Anche negli anni Ottanta essere gay poteva essere accettato purché non venisse ammesso, come lo zio scapolo in “Parenti serpenti” di Andrea Monicelli: i fratelli cercarono di assegnargli la custodia degli anziani genitori poiché lui viveva da solo e soltanto a quel punto fu costretto ad ammettere che insieme a lui viveva un’altra persona.

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Nel cinema di oggi non solo l’accettazione del fenomeno gay non è in discussione ma neppure è in dubbio l’essere figo dei protagonisti: nonostante siano passati i tempi della pubblicità Maxibon “due gusti sono meglio di uno” e nonostante i suoi 50 anni, Stefano Accorsi si dimostra ancora in gran spolvero.

Nota della redazione
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Roberto Colombo

Roberto Colombo

Opinionista.

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