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Mozione Schiscetta e libertà di scelta educativa dei genitori

Milano – Una famiglia di Milano dà la schiscetta da portare a scuola e la bimba è allontanata dai locali mensa. Non può mangiar con gli altri nonostante sia stabilito il diritto di consumare il pasto portato da casa. Le parti politiche di una battaglia sui diritti educativi dei genitori.

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milano e mozione schiscettaChe l’approvazione della mozione schiscetta fosse una faccenda importante lo avevano capito solo quelli che conoscono il mondo della scuola. Agli altri sembrava una questione laterale. La Regione Lombardia ha ascoltato la richiesta di libertà di scelta dei genitori. E’ però andata a smontare uno degli assi portanti del potere della sinistra e del PD in Lombardia. Sono stati messi in discussione i piccoli privilegi delle insegnanti. E anche i grossi privilegi delle grandi società di ristorazione collettiva. Non sarà una battaglia facile ma è una battaglia degna di essere combattuta. Ecco alcune spiegazioni su questo tema.

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Diritto educativo dei figli

La costituzione italiana parla di diritto educativo riconoscendo ai genitori il ruolo di “primi educatori” dei figli. Sulla parola “primi educatori” nel tempo c’è stato un lungo dibattito. Lo Stato italiano, man mano che toglieva diritti educativi ai genitori tendeva a preferire l’interpretazione “temporale” e numerale della parola “primi”, mentre chi tentava di fare opposizione e di difendere la libertà educativa dei genitori sceglieva l’interpretazione di gerarchia di valori. Primi come più importanti, preminenti. La guerra si svolgeva, silenziosamente, intorno alla domanda. “A chi spettano le scelte per l’educazione dei bambini? Allo stato o alle famiglie?”. In tutti i regimi totalitari, dal fascismo al comunismo, la risposta era “allo Stato”.

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Nelle democrazie e nei paesi liberi e tradizionali la risposta era “alle famiglie”. In Italia ha sempre vinto l’ipocrisia. La risposta è stata: “Per far contenti i cristiani diciamo che l’educazione spetta alla famiglie. Però organizziamo le cose in modo che lo faccia lo Stato.” In questo ambito abbiamo la guerra alle scuole private, la mancata applicazione del concetto di buono scuola, la negazione di qualsiasi concessione all’organizzazione scolastica locale e lo stretto statalismo della scelta delle insegnati. E abbiamo anche l’appropriazione indebita dell’educazione alimentare.

Mensa obbligatoria e divieto di portare cibo da casa

Questa prevaricazione si è esplicata con l’istituzione della “mensa obbligatoria come tempo scuola educativo”. Di fatto questa prevaricazione dell’educazione alimentare era giustificata con il rispetto del diritto delle insegnanti ad essere pagate come insegnanti per la sorveglianza dei bambini durante i pasti. Dalla parte dei genitori veniva giustificata come una scelta organizzativa per garantire ai genitori che lavoravano un curato servizio mensa a scuola. Cibo sicuro, il menù preparato dal dietologo, la maestra che controllava i bambini e si accertava che mangiassero tutto. Dietro a tutto ciò si nascondevano le solite gare d’appalto, la distribuzione dei posti e delle ore delle insegnanti e altri vari maneggi della politica.

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Lo stato italiano riuscì a imporre il tempo pieno scolastico solo nelle grandi città. La provincia di Milano e quella di Torino, e poche altre, furono quelle ad applicazione piena. Man mano che si andava verso sud, lavoravano meno donne e mancavano le giustificazioni per imporre delle scelte educative forti come il tempo pieno. I genitori milanesi e torinesi provavano di tanto in tanto a fare qualche resistenza. L’imposizione di un’educazione alimentare non scelta dai genitori si esplicava in divieti di portare il cibo di casa a scuola perchè “se i bambini poi stanno male, non vogliamo noi la responsabilità di cibo fatto da altri”.

Togliere i cibi tradizionali

Poi si sono avute le scelte delle mense e dei comuni di eliminare dai menù il maiale “per rispetto dei mussulmani”. Poi quelle di non rispettare le ricette dei cibi tradizionali per le festività, uniformando e standardizzando quantità e gusti. Spariti il pesce al venerdì e le vere uova di gallina. Tutti i bambini dovevano mangiare la stessa cosa. Come polli all’ingrasso. Il sistema si è spinto fino a influire sulle scelte del menù della cena familiare, per cui ai genitori vengono date istruzioni su cosa cucinare alla sera per dare ai propri figli un’alimentazione completa e integrata con i pasti del mezzogiorno. Zero libertà di scelta e chi non obbedisce è cattivo e vuole il male dei propri bambini.

Il sistema scardinato dalla mozione schiscetta

Non è un caso che la ribellione che sta scardinando il sistema sia arrivata da Torino e da Milano. Non è un caso che il consiglio di Regione Lombardia l’abbia accolta anche se presentata dall’opposizione, il Movimento 5 stelle. Non è un caso che porti un nome in dialetto milanese che indica i contenitori appositi utilizzati un tempo per portarsi a scuola e al lavoro il pranzo da casa. Ecco il link di quanto successo lo scorso gennaio: Movimento 5 stelle Lombardia. Passa la mozione schiscetta.

La resistenza della sinistra non risparmia i bambini

Non è un caso quanto successo a Milano ai danni di una bambina che, nonostante la regione Lombardia abbia decretato che è diritto la scelta di portare il cibo da casa, è stata allontanata dai locali della mensa. E successo in zona Niguarda, alla scuola elementare Pirelli di via Goffredo da Bussero a Niguarda. La piccola, con la sua schiscetta e il pasto portato da casa, è stata allontanata dai locali della mensa ed è stata lasciata in un’altra aula della scuola a mangiare da sola, come se meritasse una punizione. I genitori hanno presentato un ricorso legale. La bimba è stata umiliata e i genitori colpevolizzati. Come al solito. A Torino, invece, i genitori hanno già vinto. C’è stata un’ordinanza del tribunale di Torino, in cui è stato riconosciuto il diritto di consumare a scuola il pasto portato da casa.

Le reazioni politiche: il comune di Milano

Il comune di Milano ha diramato una circolare. Nonostante la sentenza del tribunale di Torino, a Milano le cose saranno diverse. Si tratta di un documento pdf che trovate online a questo link. I passaggi, che confermano quanto detto nelle prime righe di questo articolo, sono raggelanti. Si parla di “genitori che hanno maturato la convinzione di poter far consumare ai propri figli un pasto portato da casa, nei locali destinati alla refezione scolastica”. Poi scrivono che “in ordine all’accesso al servizio di refezione scolastica che, in quanto momento educativo, deve coinvolgere tutti gli studenti”.

Poi invita a ” al fine di salvaguardare i principi di socializzazione e di integrazione durante il momento del pasto nel rispetto delle normative igenico sanitarie e soprattutto nell’interesse di tutti gli studenti, si invitano i dirigenti scolastici e i responsabili delle unità educative a far rispettare le disposizioni del Comune ( di Milano) relative al servizio di fruizione del servizio di ristorazione di Milano Ristorazione contenute nei comunicati inviati a luglio e già n vostro possesso”. In tali comunicati c’era scritto ovviamente che i bambini che portavano cibo da casa dovevano essere allontanati; colpevolizzati, umiliati, costretti a mangiare da soli in un angolo, oggetto di pietà e di tutta la cattiveria. Tutto ciò che un’amministrazione di sinistra utilizza ai danni dei bambini per obbligare i genitori a piegarsi ai suoi voleri.

Mozione Schiscetta 2

Tale atteggiamento di Milano ha portato il consiglio regionale ad approvare la Mozione Schiscetta 2, presentata da Paola Macchi (M5S) . Ne abbiamo parlato in “A mensa c’è il Cook and Chill. E la mozione Schiscetta?” Le reazioni dell’assessorato all’Istruzione,Formazione e Lavoro condotto da Valentina Aprea non potevano mancare. Ha chiesto all’assessore milanese all’educazione Anna Scavuzzo di presentare le sue scuse alla bambina allontanata e alla sua famiglia. Poi ha aggiunto: “Ho convocato per il 4 ottobre prossimo le istituzioni e le associazioni interessate per promuovere un tavolo di confronto e valutare gli aspetti organizzativi e le responsabilità conseguenti all’ordinanza e che rimandano ad un’organizzazione del consumo dei pasti a scuola non più uniforme”.

E poi: “Resta la gravità della discriminazione gratuita che il Comune di Milano da una parte e le ditte che erogano i pasti dall’altra, stanno operando nei confronti dei minori e delle loro famiglie scuola milanesi e lombarde”. Infine l’assessore regionale Aprea ha specificato che “Regione Lombardia con l’aiuto dell’Anci e delle realtà socio sanitarie e delle associazioni genitori contribuirà a fare luce sull’offerta qualitativa e sui costi del servizio della mensa scolastica ma anche ad aprire la strada con le giuste cautele a pranzi alternativi nei percorsi scolastici obbligatori”.

Il Pd ovviamente non è ideologicamente d’accordo

Sulla questione è intervenuto il consigliere del Pd Pizzul, sostenendo che la regione Lombardia non ha competenze ma è che è giusto riflettere con l’ufficio scolastico regionale. “Ci stiamo occupando di un aspetto su cui la Regione non ha competenza e non vedo come l’assessore possa avere un mandato per spingere l’Ufficio scolastico regionale a intervenire su questo tema, se non per avviare una riflessione sul servizio mensa. I punti della questione per noi sono chiari: garantire un diritto significa smantellare un servizio che ha valenza pedagogica, sociale ed educativa?

Se è un problema economico, chi ci garantisce che il pasto portato da casa costi meno di quello fornito dalla mensa? La compartecipazione alla spesa vuol dire garantire alle fasce deboli di mangiare, o vogliamo far saltare ad alcuni bambini anche l’unico pasto della giornata? E uguaglianza significa permettere che ogni famiglia faccia ciò che vuole? In realtà, in questo caso la libertà di scelta rischia di diventare una deriva individualista, ovvero un capriccio. Forse è meglio orientare e dare un servizio migliore” Questo è il loro pensiero.

Ma l’organizzazione scolastica è delle Regioni, in base al titolo V della Costituzione

In realtà Pizzul sbaglia. L’organizzazione scolastica spetta, in base al titolo V della costituzione italiana, proprio alle Regioni. Non è materia concorrente. In ogni caso, mantenendo la loro cultura di imposizione dell’educazione statale ai bambini e confermando di essere contro il diritto all’educazione preminente delle famiglie, i consiglieri regionali del PD lombardo, Fabio Pizzul, Laura Barzaghi e Mario Barboni al termine della VII Commissione Istruzione del Consiglio regionale, hanno votato contro la mozione Schiscetta 2 presentata dai M5S e approvata dall’intero consiglio regionale.

Poi però Pizzul fa una piccola marcia indietro. Da un punto di vista politico, i consiglieri del Pd leggono nella mozione dei cinquestelle una presa di posizione ideologica: “Non avessero fatto un copia incolla che hanno dovuto presentare in quella formulazione, ma avessero scritto quello che poi ci hanno detto a voce durante la seduta, ovvero rivedere il significato del servizio mensa e migliorarlo, avremmo avuto tutt’altra posizione”. Hanno poi domandato: “Come faranno le nostre scuole a conciliare il servizio organizzato e quello che di giorno in giorno cambierà a seconda della decisione delle singole famiglie?” e “bisognerebbe scrivere in legge, se non si vogliono problemi per gli studenti, oggi evitati con il divieto di portare e distribuire a scuola qualsiasi cibo confezionato in casa”.

Nota della redazione
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Ilaria Maria Preti

Metà Milanese e metà Mantovana. Ho iniziato giovanissima con cronaca, cibo e politica. Per anni a Tvci, una delle prime televisioni private, appartengo alla storia della televisione quasi nella stessa linea temporale dei tirannosauri. Dal 2000 al 2019 speaker radiofonica. Ora scrivo su alcune testate, coordino portali di informazione, sono una giornalista, e una Web and Seo Editor Specialist

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