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I’m Just a singer (in memoria di Freddie Mercury)

Passano oggi ben ventiquattro anni dal 24 Novembre 1991, giorno in cui si spegneva a Londra Freddie Mercury, celeberrimo frontman dei Queen.
Fu il fondatore, il motore creativo, l’autentico demiurgo di una delle più amate band del panorama contemporaneo; ne fu anima, faccia e sbalorditiva voce, dedicando la summa delle proprie energie creative e materiali alla band.

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Solo a metà degli anni ’80 Freddie aveva deciso di ritagliarsi uno spazio personale, con le esperienze solistiche di Mr Bad Guy (1985) e Barcelona (1988), luogo canoro dei punti di intersezione tra la lirica e il pop, cointerpretato dalla soprano Montserrat Caballé, in un ambizioso progetto di tributo e soundtrack delle spettacolari Olimpiadi di Barcelona ’92.

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cambiamenti. Social journalism

A questi progetti compiuti si aggiunsero, sempre nella seconda metà degli anni ’80, altri lavori sparsi – alcuni dei quali successivamente raccolti nel postumo Freddie Mercury Album (1992) – tra cui meritano una menzione la cover di The great pretender, classico dei Platters, e le melodiche In my defence e Time, composte da un Dave Clark in quel tempo impegnato nella costruzione del proprio musical. E’ proprio a questo Freddie Mercury minore che mi va di dedicare una breve e semplice memoria. Con vocazione sbarazzina e disimpegnata, nei suoi lavori solistici e paralleli convivono l’anima dell’infanzia dalle esotiche radici e quella più rockeggiante dell’età matura.

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Senza mai perdere il piglio beffardo dell’artista a tutto sesto, il Mercury degli anni ’80 graffiava la propria voce e aggrediva il microfono con la potenza di sempre ma con ben maggiore spinta: anche nei brani più dolci e lenti (There must be more to life than this e Love me like there’s no tomorrow, da Mr. Bad Guy), si percepisce un’impostazione lontana da quella, liscia ed educatissima, di tante performance degli anni ’70, come le mai dimenticate Nevermore (da Queen II, 1974), Lily of the valley ( Sheer heart attack ,1974), Good old fashioned lover boy (A day at the races, 1976) o My melancholy blues (News of the world, 1977), solo per citarne alcune.

Le stesse incursioni sul terreno di dialogo tra canto lirico e rock, che segnarono – se mai ce ne fosse stato bisogno – la consacrazione di Freddie Mercury come genio vocale versatile e poliedrico (basti ripensare a The Golden boy e How can i go on, da Barcelona), testimoniano un gusto aristocratico e classicheggiante che pure si dissolve, con classe e credibilità, nelle piege garbatamente sfrontate della musica contemporanea.

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E quel binomio arte e vita, spesso epidermico in un artista così scapigliato, è stato colto da chi – a lui molto vicino – lo definì lover of life, singer of songs. Freddie Mercury, tra le molte altre cose, era e resterà questo: istrionico testimone di un se stesso esuberante, talora chiaroscurale, ma sempre sincero e coraggioso sperimentatore.

Nota della redazione
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Marco Cox

Mi chiamo Marco Cocco e sono nato a Cagliari nel Marzo del 1978. Dopo la maturità classica ho conseguito la laurea in Lettere Moderne e, parallelamente, ho avviato la mia attività di scrittore e musicista rock. Nel 2007 mi sono trasferito a Milano, dove ho insegnato per alcuni anni materie letterarie alle scuole superiori, senza mai abbandonare la scrittura creativa e la musica, a cui - ancora attualmente - dedico tempo, energie e passione.

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