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I Boccioli di Ciliegio dell’Impero giapponese

Durante gli ultimi mesi della Seconda Guerra Mondiale la forza armata giapponese si trovava in una situazione tragica: dopo la conquista statunitense delle numerose isole nel Pacifico facenti parte dell’Impero, i grandi bombardieri americani Boeing B-29 riuscivano a bombardare le isole giapponesi.

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Fin dalla sconfitta nella battaglia delle Midway del 1942 la Marina Imperiale era stata privata di quattro portaerei e di migliaia di esperti piloti e marinai difficilmente sostituibili che avrebbero potuto costituire una valida difesa aerea. Infine le industrie pesanti statunitensi garantivano alla US Navy una costante fornitura di navi e aerei, permettendole il controllo dei mari e dei cieli. Sopratutto a causa di quest’ultima condizione i vertici della Marina Imperiale decisero di adottare la drastica soluzione degli attacchi suicida per cercare di rallentare le portaerei nemiche; il 21 ottobre 1944 la nave ammiraglia della flotta australiana Australia venne colpita da un aereo giapponese dotato di una carica esplosiva di 200 Kg, divenendo la prima nave colpita da un attacco aereo suicida della Guerra.

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Indice dei titoli

Vento sacro

Tuttavia questo tipo di attacco divenne facilmente contrastabile dagli Alleati, in quanto i piloti Kamikaze (parola che letteralmente significa vento sacro, in riferimento alla tempesta che secondo la tradizione giapponese distrusse la flotta invitata dai mongoli per invadere il paese nel 1281) erano minimamente addestrati e cadevano facili prede delle caccia americana e del fuoco contraereo dei cannoni presenti sulle navi. Il Servizio Aeronautico della Marina Imperiale richiese allora un velivolo appositamente costruito per essere molto più veloce degli aerei americani ed in grado di trasportare la quantità di esplosivo necessaria per affondare o comunque causare gravi danni ad una nave nemica.

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Alla richiesta della Marina rispose l’Arsenale Aeronavale di Yokosuka che ideò un aereo alimentato da tre motori a razzo in grado di raggiungere i 1 040 km/h in picchiata e trasportare 1 200 kg di esplosivo. Il simbolo scelto per rappresentare questo sacrificio umano fu il bocciolo del ciliegio, Ohka in lingua giapponese. Queste bombe volanti avrebbero dovuto essere fissate sotto la fusoliera dei bombardieri Mitsubishi G4M della Marina Imperiale che li avrebbero dovuti sganciare a non più di 15 miglia nautiche dall’obiettivo; da lì i piloti suicidi avrebbero dovuto planare fino al contatto visivo con l’imbarcazione nemica, per poi accendere i motori e tuffarsi verso il bersaglio.

Ohka

"Pilota kamikaze giapponese indossa la tradizionale Hachimaki"

Il primo attacco condotto con gli Ohka risale al 21 marzo 1945 ma non diede gli effetti sperati, in quanto i quindici aerei madre (i bombardieri che trasportano le bombe volanti) ed i 30 caccia A6M di scorta vennero intercettati dai radar del gruppo di battaglia della portaerei Hornet verso cui puntavano e distrutti 70 miglia prima dell’obiettivo dai caccia statunitensi. Questa è una dimostrazione della superiorità tecnologia statunitense, che può dotare le proprie forze armate di radar fin dall’inizio delle ostilità, spinse i giapponesi ad ideare alcune versioni delle bombe volanti in grado di essere trasportate e lanciate dai sommergibili della Marina Imperiale emersi in prossimità delle flotte nemiche, anche se non vennero utilizzate attivamente durante il Conflitto. Il secondo attacco condotto con gli Ohka riuscì a danneggiare la corazzata West Virginia il 1 aprile, ma solo il 12 aprile verrà affondato il cacciatorpediniere Mannert L. Abele, divenendo la prima nave distrutta con questo aereo.

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Dei dieci attacchi con Ohka noti, solo nella metà dei casi i giapponesi sono riusciti a lanciare l’aereo razzo e generalmente ciò è sempre successo sacrificando tutta o gran parte della formazione di aerei inviati nell’attacco. In un periodo in cui ogni aeroplano rappresentava la possibilità di difendere il Paese dai bombardieri nemici queste missioni vennero limitate ai bersagli ritenuti più importanti. Attualmente non si conosce l’esistenza di filmati che mostrano un Ohka in azione, tuttavia è possibile vederne una versione animata nel secondo episodio dell’anime The cockpit di Leiji Matsumoto, dove vengono narrate le ultime ore di vita di un giovane pilota suicida.

Nota della redazione
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Cristopher Venegoni

Sono nato e cresciuto tra Arluno e Ossona e studio giurisprudenza. la mia passione sono gli aerei e il volo, per questo sono guida volontaria al Museo di Volandia, Varese.

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